Il futuro tecnologico dell’Europa è legato a Dresda, che della Sassonia è la principale città. Siamo nella Germania dell’Est. Praga è a una manciata di chilometri, e la vicina Polonia è nelle tradizioni, nei cognomi, e nei paesaggi. Le case e i palazzi ricordano l’ex blocco sovietico.
Nell’Europa fanalino di coda a livello globale, la Germania traina il carro dell’industria dei microchip. Merito della ‘Silicon Saxony’, che conta 70 mila addetti, attrae investimenti esteri e vede nascere nuovi impianti di produzione. Oggi un chip europeo su tre è ‘Made in Germany’.
Bisogna partire da questo dato riportato dal Financial Times per raccontare la più delicata partita dell’autonomia strategica europea. Autonomia nei fatti, e non solo a parole, significa accorciare il gap che separa il Vecchio continente da Cina e Stati Uniti.
I microchip, i piccoli cervelli nanometrici che muovono l’intera industria digitale, dall’automotive all’hi-tech, sono l’oro del nuovo decennio. Complice una pandemia che ha terremotato le supply chain (le catene globali del valore) e ha inaugurato una corsa ad accaparrarsi i siti di produzione.
Su questo terreno l’Europa resta fanalino di coda. Oggi produce il 10% dei microchip globali, vuole arrivare al 20% entro il 2030. Tra il dire e il fare ci sono tuttavia tante variabili. Per produrre i chip servono investimenti di scala. Lo ha capito la Commissione Ue, che infatti ora punta tutto su Berlino per recuperare il ritardo con Pechino e Washington nella produzione di microchip.
Intanto è iniziata la processione dei grandi player globali, assegni alla mano, per aprire siti di produzione di chip in Germania. Sono queste le intenzioni di Intel, il colosso statunitense corteggiato da Francia e Italia che alla fine sembra aver deciso: il maxi-impianto da 10 miliardi di dollari l’anno nascerà con ogni probabilità a Dresda. La Silicon Saxony, appunto. In fila c’è anche Tsmc, il più grande produttore al mondo con sede a Taiwan, che secondo alcune indiscrezioni vuole aprire un centro di produzione in Germania.
Tanti altri hanno fatto la stessa scelta anni fa. Oltre alla tedesca Infineon, che ha due impianti di produzione di wafer in silicio da 200 e 300 millimetri, a Dresda c’è la californiana Global Foundries, terza fonderia di semiconduttori al mondo.
Ovviamente c’è chip e chip. Nella sfida strategica con la Cina, sono i più piccoli, sotto i 10 nanometri, a fare la differenza. Qui, spiega un recente rapporto Kearney (commissionato da Intel), l’Europa arranca.