Il 5G europeo parla ancora cinese

Il 34% degli apparati di accesso alla rete mobile restano di Huawei e Zte, una diffusione che nonostante gli obiettivi dell’Unione non si è ridotta. Il ruolo giocato dalla Germania

Il 5G parla ancora cinese

Cinque anni dopo che l’Europa si è dotata di una strategia per mettere in sicurezza le reti 5G, limitando o escludendo i fornitori “ad alto rischio”, buona parte delle comunicazioni mobili degli europei passa ancora dagli apparati made in China di Huawei e Zte. 

Resta cinese, in una media tra i Paesi Ue, il 34% delle reti di accesso radio (Ran), ovvero le antenne a cui si agganciano i telefoni degli utenti. Una percentuale che - rivela un report di Strand Consult - è rimasta costante negli ultimi due anni. In Italia invece è scesa (da una quota del 51% al 35), segno che i paletti messi del Golden Power hanno una certa efficacia.

Fu Trump durante la sua prima presidenza a lanciare l’assalto a Huawei, simbolo dell’ascesa tecnologica cinese e dei rischi per l’Occidente, facendo pressione sugli alleati perché la bandissero. Dopo grandi dibattiti, Bruxelles ha lasciato libertà ai vari Paesi. Da allora i governi sono andati in ordine sparso anche se, a metà del 2023, i numeri mostrano che poco è cambiato.

Ad esempio, in Germania, la cui economia legata a doppio filo con la Cina, l’incidenza di Huawei e Zte è ancora stabile al 59%, in altri cinque Paesi è sopra il 50%. In Austria, Olanda, Grecia e nell’Ungheria di Orban, vicino agli autocrati Xi e Putin, è persino aumentata.

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