Conosciamo gli ingredienti della crescita economica, ma non la ricetta. La frase è firmata dal premio Nobel per l’Economia Bob Solow. Uno degli “ingredienti” che ha permesso all’Italia di intraprendere la via della ripresa, dopo la grande crisi, è senza dubbio nella quota di esportazioni, cresciute di oltre il 30% dal 2010, mentre sono più contenuti gli andamenti dei consumi interni e degli investimenti.
L’andamento dei beni italiani venduti all’estero conferma buoni risultati anche rispetto alla quota delle esportazioni sul Pil: considerando i quattro maggiori paesi dell’area euro, negli anni dopo la crisi l’Italia si è costantemente collocata al secondo posto, dopo la Germania, raggiungendo nel 2017 la quota del 27%. Un dato in crescita dal 2009 e il cui andamento positivo, anche in termini assoluti, ha attraversato con contraccolpi relativamente ridotti gli anni della crisi del debito sovrano.
Osservando, infine, il potere di mercato dell’export italiano, calcolato tramite l’indice delle ragioni scambio (ovvero il rapporto tra il prezzo ponderato delle esportazioni e delle importazioni di un Paese), dal 2012 è cresciuto più di quello delle esportazioni tedesche, nonché di tutti gli altri partner europei.
Il trend particolarmente positivo che l’indice ha conosciuto dal 2012 può essere ascritto sia ad un marchio, quello del made in Italy, sia ad una quota maggiore di esportazioni verso Paesi nei quali si riscontra poca concorrenza (in particolare nelle economie in via di sviluppo).
Quanto ai principali partner commerciali italiani, per volume di esportazioni, nel 2016 le prime posizioni erano occupate, nell’ordine, da Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Spagna. Questi paesi ricoprono una quota poco più alta del 40% del totale delle nostre esportazioni.
Tuttavia, secondo gli economisti Ivan Lagrosa e Jacopo Tozzo, il rapporto commmerciale con gli Usa potrebbe peggiorare dopo l’introduzione dei dazi. Gli Stati Uniti sono il terzo paese, per merci e servizi, verso cui l’Italia esporta e se si considera la prospettiva del trade in value added – che tiene in considerazione il valore aggiunto delle catene di produzione di beni consumati all’estero – gli Stati Uniti risultano il primo paese verso cui l’Italia esporta.
Ciò significa che un’eventuale escalation delle tariffe verso i prodotti importati dall’Ue potrebbe ripercuotersi ancor più negativamente sull’economia italiana.