Hai voglia ad accusare il Covid-19 o la guerra in Ucraina. O anche la politica economica dell’amministrazione Trump. L’evidenza empirica parla chiaro. Dalla Grande Crisi del 2008 il commercio globale non si è mai ripreso.
Nell’anno del fallimento di Lehman Brothers raggiungeva il 60% del Pil mondiale, un livello mai superato negli anni successivi. La finanza, che ha subito una crescente regolamentazione, ha frenato. Il commercio di beni si è assestato attorno ai 15mila miliardi di dollari l’anno, mentre è salita (e continua a salire) la quota relativa ai servizi.
Nel 2022, inoltre, è stato registrato il record del numero di restrizioni al commercio in vigore, quasi 2.500, un numero sei volte più grande di quello rilevato nel 2009, l’anno successivo alla grande crisi. Secondo l’Fmi, dal 2015 sono triplicate le restrizioni motivate dalla sicurezza nazionale: un ambito nel quale la Cina è l’ombelico del mondo, soprattutto per l’import da e verso la seconda economia al mondo.
La deglobalizzazione è uno scenario che il Fondo non gradisce e avverte. Tornare indietro rallenterebbe l’economia: il reddito globale potrebbe ridursi dallo 0,2% (in caso di frammentazione molto limitata) a 7 punti percentuali. Con punte tra l’8 e il 12% se si considera anche l’effetto di decoupling (disaccoppiamento) tecnologico che sembra essere in corso tra blocchi regionali.