Da donatore a banchiere. Il China’s Overseas Development Finance Database della Boston University registra da parte della Cina sempre più frequenti operazioni di (ri)finanziamento di emergenza di Paesi in via di sviluppo alle prese con evidenti difficoltà a onorare debiti, peraltro a suo tempo contratti proprio con le banche di sviluppo cinesi nell’ambito delle iniziative legate alla Belt and Road Initiative (BRI).
La Cina ha assunto nel tempo il ruolo di principale prestatore a livello mondiale per la gran parte dei Paesi ‘low and middle income’. Osservando l’impegno cinese nel periodo 2005-2022 emerge che il valore complessivo degli investimenti all’estero della seconda economia al mondo è stato di 2,27 trilioni di dollari, destinati principalmente ai settori delle costruzioni infrastrutturali e all’energia, nonché ai progetti a largo spettro legati alla Via della Seta.
I primi dieci mutuatari beneficiari dei finanziamenti allo sviluppo della Cina sono stati l’Angola, l’Argentina, il Bangladesh, il Brasile, l’Ecuador, l’Iran, il Kazakistan, il Pakistan, la Russia e il Venezuela che hanno beneficiato di 296,3 miliardi di dollari, ovvero il 59% degli impegni totali finanziati da Pechino.
Negli anni, molti di questi Paesi che si sono indebitati con la Cina sono andati in sofferenza, modificando di fatto l’approccio cinese. Pechino sta riducendo la politica dei maxi prestiti per nuove infrastrutture e, parallelamente, sta ri-finanziando progetti già erogati e in sofferenza debitoria. Alcuni dati indicano come la Cina, dal 2008 (anno del fallimento di Lehman) al 2021, avrebbe speso 240 miliardi di dollari in operazioni di “salvataggio” di Paesi coinvolti nella BRI.
Dei 240 miliardi di dollari (erogati principalmente a Paesi a medio reddito), quasi l’80% dei prestiti di emergenza è stato emesso dopo il 2016, con un picco di oltre 40 miliardi di dollari nel 2021. Allo stesso tempo, nel biennio 2020-21 sono stati presi nuovi impegni per ‘appena’ 10,5 miliardi di dollari, il dato più basso degli ultimi anni.