“Negli Stati Uniti l’unico punto su cui, a detta dei politologi, tutti sono d’accordo è la posizione anti cinese. Su questo tema democratici e repubblicani hanno una posizione adamantina e sono convinti che la Cina sia un pericolo per gli interessi economici e militari americani”. Romano Prodi, ex premier e presidente della Commissione europea, commenta con questa parole le recenti aperture verso Pechino del ministro dell’Economia Janet Yellen.
La crescita economica cinese – secondo Yellen - non rappresenta in realtà una minaccia per la leadership globale degli Stati Uniti. In effetti – evidenzia Prodi – “nonostante la elevata tensione nei rapporti politici tra Usa e Cina, gli scambi commerciali tra i due Paesi continuano a prosperare. Nel novembre dello scorso anno in un momento di tensioni altissime tra Stati Uniti e Cina per la guerra dei chip, il porto di Los Angeles non era in grado di scaricare in tempo tutti i container con la merce che arrivava dalla Cina. Ora è chiaro che il ministro del Tesoro non può ignorare questa realtà”.
In tal contesto, il dollaro resta la moneta globale ma perde spazi. “Quasi il 60 per cento delle riserve rimane in mani statunitensi e la valuta americana domina ancora in modo schiacciante il commercio internazionale”. Ma – spiega Prodi - “la Cina continua nel suo obiettivo di creare un posto crescente al renminbi. In primo luogo, dopo la guerra di Ucraina, ha ottenuto non solo che gli scambi fra Russia e Cina avvengano progressivamente in moneta cinese, ma che la stessa valuta sia utilizzata per i pagamenti russi con Asia, Africa e America Latina. Teniamo presente che prima della guerra di Ucraina, lo yuan copriva solo l’1 per cento del commercio fra i due Paesi. E ora raggiunge il 16, con l’obiettivo di arrivare alla quasi totalità entro la fine dell’anno in corso”.
In ballo non ci sono soltanto il commercio e la finanza. “In questi anni i rapporti politici ed economici internazionali della Cina sono aumentati in modo impressionante – aggiunge Prodi -. È sufficiente riflettere sul fatto che, in questo momento, ben 120 Paesi nel mondo sui 193 che aderiscono all’Onu hanno la Cina come primo partner commerciale. I nuovi rapporti economici includono in modo crescente la clausola di utilizzare la valuta cinese. Siamo naturalmente ancora di fronte a un cambiamento più programmatico che reale perché, anche se in forte crescita, le riserve in renminbi non superano ancora il 3 per cento del totale mondiale, ma il lavoro quotidiano cinese, costruito su una presenza estesa in tutti i continenti, sta producendo frutti e, soprattutto, sta seminando per il futuro”.