Si chiama New development bank (Ndb), ma è più conosciuta come la Banca dei Brics (acronimo che indica il gruppo formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa). Creata nel 2015, la Ndb si è nel frattempo allargata ad Emirati, Egitto e Bangladesh. Ha stanziato 33 miliardi di dollari di prestiti per infrastrutture di vario tipo (una cifra importante ma ancora distante rispetto ai 67 miliardi sborsati dalla Banca mondiale nel solo 2022).
È in pratica l’istituto di finanza per lo sviluppo con cui le grandi potenze emergenti trainate dalla Cina – i cinque Paesi producono il 25 per cento del Pil mondiale - stanno cercando di costruire un’alternativa alle grandi istituzioni multilaterali a guida statunitense come la Banca mondiale.
La guerra in Ucraina ha fatto tremare uno dei suoi pilastri visto che Mosca, socio fondatore con il 19 per cento del capitale, è diventata all’improvviso intoccabile per colpa delle sanzioni.
Ma ora per controbilanciare lo stallo nei rapporti con la Russia - secondo il Financial Times - sarebbero in corso le trattative per l’ingresso della petro-monarchia saudita nella Ndb, guidata dall’ex premier brasiliana Dilma Rousseff, segnalando che la sfida tra Stati Uniti e Cina per portare le potenze non allineate dalla propria parte è sempre più accesa.
L’ingresso dell’Arabia Saudita confermerebbe l’avvicinamento tra la monarchia, in rotta con gli Stati Uniti, e la Cina. Che qualche settimana fa è stata mediatore dell’accordo tra i sauditi e l’Iran.
Pechino prova così a cavalcare i timori di alcuni Paesi, presentandosi come difensore della globalizzazione contro la logica dei blocchi all’americana. Ma gli Stati Uniti sembrano avere capito il rischio: ora Washington non parla più di decoupling (separazione geoeconomica) dalla Cina, bensì di derisking, ovvero riduzione dei rischi.
