La notte del 24 giugno scorso, mentre Prigozhin marciava su Mosca avvicinandosi fino a circa 200 chilometri dalla capitale della Federazione, Washington ha in qualche modo dovuto scegliere fra Russia e Ucraina. E cosa ha scelto? Mosca.
L’idea del governo statunitense è semplice: meglio la stabilità della superpotenza nucleare che una guerra civile innescata dal capo del Gruppo Wagner, per cui tifava Kiev.
Scelta peraltro confermata via Nato l’11 e 12 luglio a Vilnius, dove Biden ha stabilito che Kiev non può aderire al Patto Atlantico finché dura la guerra con Mosca. Con ciò gli Stati Uniti e i loro alleati hanno concesso alla Russia il diritto di veto sull’eventuale ingresso dell’Ucraina nella Nato: basta non fare la pace.
La divaricazione latente fra Washington e Kiev è ormai evidente. In fondo, Biden e Zelensky hanno affrontato la guerra su basi strategiche diverse. L’America non vuole, né ha mai voluto, combattere direttamente la Russia. L’Ucraina sì, dopo essere stata attaccata. Americani e russi sono vecchi avversari che si rispettano da quasi un secolo. I cari nemici continuano a pungersi con una serie di stoccate, ma mai definitive. È come se entrambi barassero, partecipando allo stesso gioco.
L’intelligence americana considera la promessa ucraina di non attaccare la Federazione Russa violata a ripetizione. Dal sabotaggio di Nord Stream a quello del ponte di Kerc (colpito oggi, 17 luglio, per la seconda volta), dagli attentati in Russia all'attacco contro la base di Engels, ecc. A questa spregiudicatezza ucraina si è poi aggiunto il caso Prigozhin che ha fatto traboccare il vaso. Ma, allo stesso tempo, l’eventuale crollo ucraino si tradurrebbe sul piano strategico in una sconfitta anche per gli Usa. Ecco perché un sostanziale pareggio sarebbe allo stato attuale la soluzione migliore al conflitto Kiev-Mosca.