Già durante il suo primo mandato Trump ha cercato di usare il protezionismo per imporsi sugli altri paesi, ma senza ottenere significativi risultati. I dazi avrebbero dovuto ridurre il deficit commerciale statunitense, che invece era aumentato di un quarto durante la sua amministrazione. Gli scambi con la Cina si erano infatti ridotti, ma le barriere doganali erano state aggirate. Le aziende cinesi avevano spostato la produzione in paesi come Messico, Vietnam, Taiwan e Malesia.
Queste politiche protezionistiche potrebbero avere effetti negativi sull’economia statunitense, facendo aumentare i prezzi per i produttori e per i consumatori. I dazi sulle merci che arrivano da Messico e Canada (a cui Trump ha proposto nei giorni scorsi tra il serio e il faceto di diventare il 51° Stato degli Usa), in particolare, farebbero costare di più i prodotti agricoli, i metalli, il petrolio e i componenti usati nell’industria automobilistica.
Trump ha vinto le elezioni anche promettendo di combattere l’inflazione, ma la sua politica rischia di farla impennare. Entro poche settimane il mondo scoprirà se quella di Trump rappresenta una reale minaccia globale oppure se si tratta ‘solo’ di tattica negoziale. Di sicuro, un effetto c’è già: molte imprese stanno valutando di spostare la produzione negli Stati Uniti, pur di rischiare di non perdere il mercato della prima economia al mondo.