Nei giorni scorsi, a Washington, a fianco delle riunioni dell’Fmi e della Banca Mondiale, c’è stato il tentativo di mantenere in vita i lavori del G20. La presidenza indonesiana del Gruppo non è tuttavia riuscita ad evitare che la presenza della Russia ne bloccasse i lavori, boicottati dagli Usa e da altri Paesi.
L’Italia, quale presidente della scorsa edizione del G20, è membro della ‘Troika’, che cura la continuità dei lavori da un anno all’altro, nella quale affianca l’Indonesia insieme all’India, che presiederà il G20 programmato nel 2023. Anche il nostro Paese è pertanto coinvolto nella gestione di un problema che al momento sembra insolubile.
La difficoltà della situazione è accresciuta dal fatto che Cina e India si sono astenuti nel voto sulla risoluzione dell’Onu che ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina. Anche la loro partecipazione al G20 rischia di creare controversie. Il punto è che – come detto – a New Delhi è affidata la presidenza del 2023.
Le successive presidenze, al momento, sarebbero del Brasile, che ha votato a favore della condanna e, nel 2025, del Sud Africa, che si è invece astenuto. Il che significa che ad esser messa a rischio è una sede importante di cooperazione multilaterale.
Dopo aver preso delibere importanti nella gestione della crisi del 2008-9, il G20 era tornato per alcuni anni ad essere scarsamente incisivo, ma aveva di nuovo suscitato qualche speranza – secondo alcuni osservatori - nell’affrontare la crisi pandemica. Sotto la presidenza italiana, seguita a quella dell’Arabia Saudita, erano poi maturate alcune idee per alleviare i debiti dei Paesi più poveri e agende pluriennali di rilievo per gestire le grandi transizioni economico-politiche globali: quella energetica-climatica-ambientale e quelle sanitaria, digitale e distributiva.
La domanda ora è: la tragedia ucraina costringerà il G20 al fallimento? Un radicale fallimento del G20 avrebbe come probabile conseguenza un rafforzamento del ruolo del G7 che tenderebbe ad allargarsi (includendo almeno l’Australia e la Corea del Sud) e a nutrire una crescente contrapposizione tra le cosiddette economie avanzate e il resto del mondo.
Nella migliore delle ipotesi il tavolo potrebbe evolvere verso incontri a quattro: Usa, Ue, Cina e India, con Africa e Sud America ospitati tramite i rappresentanti di unioni di Stati. Ma rischierebbe di risultare una contrapposizione più che un’effettiva collaborazione fra aree regionali del mondo. I formati sino a qui ipotizzati hanno infatti tutti un comune denominatore: la rivisitazione al ribasso del multilateralismo mondiale.