Il G7 rappresenta ancora un formato attuale o è oramai sulla via dell’irrilevanza, in un mondo caratterizzato da nuovi blocchi di potere e da una crescente frammentazione geopolitica?
Osservando la classifica attuale in base al Pil tra i membri “di diritto” del G7 ci sarebbero anche Cina e India, mentre Italia e Canada sarebbero fuori dal club. E non da oggi.
In realtà, oggi il G7 va considerato principalmente per il suo significato geopolitico, ovvero come il gruppo delle principali democrazie occidentali. Un gruppo sempre più minoritario e che dunque sta cercando di fronteggiare il timore di ritrovarsi non più alla guida del mondo diventando più inclusivo e coinvolgendo anche altri Paesi che fanno parte del G20.
Ad esempio, al vertice di Elmau (in questi giorni) sono stati invitati anche cinque Paesi partner: Argentina, India, Indonesia (che è presidente di turno del G20), Senegal e Sudafrica.
Il fatto che Delhi e Pretoria facciano parte, insieme a Brasile, Cina e Russia, anche dei paesi indicati con l’acronimo Brics (il cui vertice si è appena svolto sotto la presidenza cinese ed è terminato senza alcuna condanna nei confronti di Mosca) rivela che le relazioni internazionali di oggi sono ormai a “geometrie variabili”.
In questa ottica, i paesi dell’attuale G7 sembrano aver preso coscienza del rischio a cui vanno incontro, l’irrilevanza, e così il nuovo obiettivo è non restare isolati, cercando piuttosto di attivare contatti con il maggior numero possibile di partner.
Anche perché i numeri pure in questo caso sono spietati. Ad esempio, nel 1990 le economie del G7 producevano il 66% del Pil globale, oggi il 46%. Il commercio mondiale è passato dal 52% al 30%, la popolazione globale dal 12% al 10%. Il rischio è quello di restare con il cerino in mano e ritrovarsi a canticchiare, sulle parole di Antonello Venditti, “ci vorrebbe un amico”.