I capi di stato dell’Unione Africana hanno firmato l’accordo lo scorso 21 marzo: così è nata la Continental Free Trade Area (Cfta), ovvero la più grande area di libero scambio al mondo dall’istituzione dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Tuttavia, l’agenzia di rating Moody’s mette ora in evidenza in uno studio quali siano gli effettivi ostacoli allo sviluppo del commercio intra-africano.
Anche se il commercio tra i paesi dell’Africa resta piuttosto modesto, nel corso degli ultimi anni è aumentato e ora supera quello che il Continente ha con Cina e Stati Uniti. Il dato più rilevante è forse un altro. Mentre le esportazioni africane verso il resto del mondo sono principalmente materie prime, l’export intra-regionale è basato su prodotti a più alto valore aggiunto. Per l’agenzia di rating è un segnale positivo: lo sviluppo del commercio tra gli Stati africani rafforza le economie locali, riduce la dipendenza dalle materie prime, aumenta la domanda e gli investimenti.
Il principale punto debole è la mancanza di infrastrutture. Nell’ultimo decennio, i governi africani hanno speso in media 45 miliardi di dollari l’anno per investimenti in infrastrutture. Ciononostante, questo copre il 50% del fabbisogno.
Un ulteriore ostacolo è costituito dalle barriere non tariffarie. La Banca mondiale stima che i costi (amministrativi e burocratici) per il commercio intra-africano siano i più alti tra i paesi in via di sviluppo e di circa il 50% superiori a quelli previsti in Asia orientale.
Soltanto un terzo del commercio africano è sostenuto dalle banche: la domanda insoddisfatta di finanziamenti per gli scambi internazionali continua a superare i 90 miliardi di dollari l’anno.
Per Moody's, i paesi che dovrebbero beneficiare maggiormente di una maggiore integrazione commerciale africana sono quelli che hanno già una grande base industriale e infrastrutture relativamente sviluppate, come il Sudafrica, il Kenya e Egitto.