L’impatto commerciale della Brexit evidenzia la frammentazione interna al Regno Unito. Secondo uno studio di Make Uk, Federazione delle imprese manifatturiere britanniche, le fabbriche inglesi e gallesi subiscono una riduzione significativa delle proprie esportazioni verso i paesi dell’Unione Europea.
Nonostante una crescita degli scambi a livello generale, tra il 2020 e il 2022 solo Scozia e Irlanda del Nord osservano una crescita del flusso di beni verso il Continente.
Scendendo nel dettaglio, lo studio individua le cause di tale asimmetria nel Protocollo sull’Irlanda del Nord (che permette la circolazione di beni libera da tariffe doganali in terra irlandese) e nel balzo in alto del costo del petrolio dopo l’invasione russa dell’Ucraina, di cui ha beneficiato anche la Scozia.
A pagare maggiormente lo scotto dell’uscita dall’Unione doganale europea sono infatti le fabbriche del Nord d’Inghilterra e delle West Midlands, centri storici per l’industria del paese. Nel Nord-Ovest si registra infatti un calo dal 52 al 50 per cento degli export europei, mentre nelle Midlands il dato scivola di un punto percentuale al 45 per cento.
Il Nord-Est mostra la sua stretta dipendenza dall’Ue. Qui si verifica il dato negativo più rilevante: un crollo delle esportazioni dal 60 al 57 per cento. Di contro, le regioni di Londra e dell’est viaggiano a una velocità diversa, con un aumento rispettivamente dell’1 e del 5 per cento.
Le varie faglie storiche e culturali d’Oltremanica sono quindi sempre più accompagnate dagli effetti economici dei rapporti anglo-europei post-Brexit.