Il bilancio dell’ultimo round di combattimenti nel Nagorno-Karabakh è chiaro: Turchia e Stati Uniti da un lato, Russia e Iran dall’altro. In particolare, sostenendo l’Azerbaigian, Ankara ha aumentato il suo peso nel Caucaso. Il tutto con la benedizione di Washington, pronta ad accogliere nella propria orbita l’ex satellite russo (senza, peraltro, muovere un dito).
La Russia esce a dir poco ammaccata dalla mischia caucasica. Putin, certo di aver ormai perso l’Armenia, ha inutilmente (visto che Baku sostiene l’integrità territoriale dell’Ucraina) provato a salire sul carro azerbaigiano.
Anche l’Iran non è certo fra i vincitori. Uno dei rischi è la separazione fisica della Repubblica Islamica dall’Armenia. Dunque dal Caucaso meridionale, snodo logistico fondamentale per liberare Teheran dalla dipendenza dalla piattaforma logistica anatolica e per connettere l’altopiano iranico alla Russia.
Il trionfo di Baku consolida anche gli obiettivi caucasici di Israele, che ha eterodiretto e sostenuto militarmente le offensive dell’Azerbaigian almeno quanto la Turchia.