Nel suo recente viaggio in Giappone, il presidente USA, Donald Trump, sembrava un negoziatore commerciale degli anni ’80. Ha invitato il Giappone a investire maggiormente negli Stati Uniti, ad acquistare più attrezzature militari e ad importare gas naturale liquefatto. Trump pensa che queste misure possano ridurre il deficit commerciale statunitense con il Giappone.
In verità Trump sta sbagliando. Il surplus commerciale del Giappone con gli Stati Uniti non è principalmente relativo al protezionismo o ad una politica nipponica aggressiva. Resta comunque vero che il Giappone continua ad esportare più di quanto importi dagli Stati Uniti.
Inoltre, il Governo giapponese è un significativo acquirente di obbligazioni statunitensi. Se gli Stati Uniti chiedessero al Giappone di venderle allora sì che il deficit commerciale bilaterale si ridurrebbe: lo yen si rafforzerebbe contro il dollaro, spingendo i giapponesi a comprare beni più economici a basso costo made in USA e scoraggiando gli americani ad acquistare costosi beni giapponesi. A quel punto il Sol Levante potrebbe, però, usare a proprio favore la politica monetaria e la leva dei tassi di interesse.
In altre parole, Trump deve riconoscere che gli anni '80 sono finiti. Il Giappone non è più protezionista come in passato e ora è un buon partner commerciale. A tal punto da non poterci rinunciare.