Il crollo dell'Urss e l'esodo in massa degli ebrei sovietici in Israele negli Anni '90 ha trasformato l'equilibrio politico e innescato cambiamenti significativi nella distribuzione del reddito: la legge sul ritorno di Israele concede al momento del rimpatrio la cittadinanza immediata e, quindi, il diritto di voto.
L’esodo ebraico dall’Unione Sovietica in dissoluzione tra il 1987 e il 1991 rappresentano un caso di studio: le caratteristiche professionali, sociali, attitudinali e comportamentali degli immigrati russi si sono rivelate distintive. Avevano un livello di scolarizzazione elevato e anche un reddito da lavoro più alto, con una media di 4.351 shekel israeliani contro una media nazionale di 4.139 shekel.
Una ricerca mostra che i salari medi effettivi degli israeliani nativi diminuirono durante l’apice del flusso nel 1990/1991. Tuttavia nel 1997, grazie al boom di investimenti, sia le retribuzioni medie che il ritorno al capitale erano tornati ai livelli pre-immigrazione. Nei 10 anni successivi all’arrivo, i salari degli immigrati russi altamente qualificati sono cresciuti dell’8% l’anno.
Gli ebrei di seconda generazione, i cui genitori sono emigrati dall’ex Unione Sovietica, hanno avuto una mobilità ascendente più alta rispetto a tutti gli altri gruppi etnici. La distribuzione del reddito della popolazione nativa dipende dal costo dell’istruzione eterogeneo e dall’investimento di capitale umano. Israele ha ricevuto in breve tempo tre quarti di milione di migranti dalla Federazione di Stati Indipendenti (ex Urss) e la sua esperienza positiva è rilevante per l’attuale dibattito sulle prospettive dell’immigrazione di massa.