Un anno fa, quando Mosca invade brutalmente l’Ucraina, gli Stati Uniti e i loro più stretti alleati euroasiatici rispondono con un immediato e crescente apparato sanzionatorio che abbraccia finanza ed economia, interi settori e singoli individui, comparti militari e civili.
L’obiettivo iniziale era creare un cordone sanitario che prosciugasse risorse e volontà russe (di élite e società civile) di proseguire nella cosiddetta “operazione militare”. Le sanzioni come deterrente verso la prosecuzione dell’invasione. Non è andata esattamente. Perché?
Primo: molti paesi non hanno sottoscritto le misure. I due maggiori, India e Cina, rappresentano mercati importanti per gli idrocarburi russi. Inoltre, da marzo 2022 in poi, la Cina è stata la principale fonte di microelettronica a usi civili e militari per l’economia russa. Senza l’aiuto di Pechino il Cremlino avrebbe difficoltà decisamente maggiori sul teatro di guerra.
Secondo: i paesi più piccoli tra quelli non sanzionanti, ma anche alcuni tra quelli che aderiscono alle sanzioni, sono ricorsi a schemi di triangolazione che consentono di aggirare il divieto di import/export dei beni vietati.
Terzo: l’economia russa è relativamente piccola (rispetto alle potenzialità del paese), poco sofisticata (è perlopiù basata sull’export di materie prime e su pochi settori manifatturieri, tra cui le armi) e dirigistica. Fattori che rendono possibile reindirizzare l’economia verso le esigenze belliche. Non per caso nel 2023 Mosca spenderà circa un terzo del pil per la guerra.
Quarto: l’impennata del prezzo di gas e petrolio nelle prime fasi del conflitto ha attenuato l’impatto finanziario dell’embargo, compensando i minori volumi esportati e il sequestro occidentale delle riserve della Banca centrale russa. Le importazioni asiatiche hanno fatto il resto, sebbene a prezzi meno convenienti per Mosca.
A tali quattro fattori si aggiunga che l’Europa continua a pagare il gas 2-3 volte di più di prima del conflitto, di conseguenza la sua elettricità è mediamente più cara di quella cinese o statunitense e questo ne penalizza l’apparato industriale. Ecco perché la posizione dell’Europa, nello scontro Usa-Russia (in Ucraina) e in quello più ampio Usa-Cina, resta delicata.