All’interno dell’economia mondiale, a parte la solita crescita più rapida dei Paesi emergenti (il tasso di crescita cinese scende sotto il 5 per cento quest’anno, ma quello indiano si avvicina al 7), spicca la maggiore vitalità dell’economia Usa rispetto a quella europea.
Passando al nostro Paese, in riferimento agli ultimi sette anni è andata meno male di quanto si possa immaginare, quantomeno in termini percentuali. Nella classifica della crescita nei G7 l’Italia è al quarto posto (5,5 per cento complessivo dal 2017 al 2024), sopravanzando Regno Unito (5,4), Germania (2,9) e Giappone (2,3).
Davanti all’Italia, al terzo posto la Francia (6,2 per cento). Al secondo il Canada (11,1), dopo i già citati Stati Uniti al primo (17,2).
Possibile, dunque, vedere ottimisticamente il futuro? A partire dal 2020, il massiccio flusso di finanziamenti arrivati all’Italia dalla Bce (prima) e dall’Ue (poi) ha reso relativamente più leggero il fardello del debito pubblico che ci ha svantaggiato dai primi anni ’90 del secolo scorso, rendendoci fra l’altro un perfetto bersaglio per la speculazione internazionale in periodi di burrasca sui mercati internazionali (vedi crisi del 2011-12).
Quei flussi, in particolare quelli correlati al Pnrr, dureranno ancora fino a metà 2026. Solo a quel punto capiremo se siamo ‘fuori dal tunnel’ (parafrasando una delle canzoni più note di Caparezza) in cui l’Italia era entrata un quarto di secolo fa.