Standard&Poor's conferma il rating dell'Italia lasciandolo a BBB, pertanto a due gradini dal temuto "non investment grade". Invece S&P riduce l'outlook – ovvero le prospettive macroeconomiche - da stabile a negativo. È una mossa che consente all’agenzia di abbassare il rating nei prossimi 24 mesi, qualora le condizioni lo richiedessero.
Per spiegare l'outlook negativo, S&P scrive che "il piano economico del governo rischia di indebolire la performance del Pil italiano". Se la previsione di crescita del governo era dell'1,5% per il 2019, l'agenzia di rating la fissa all'1,1% sia per l'anno in corso e sia per il 2019. Così come il rapporto deficit/Pil si attesterà al 2,7% (invece che al 2,4 stimato da Palazzo Chigi). E il debito smetterà di ridursi proprio perché le previsioni sulla crescita - di fonte governativa - sono "ottimistiche".
Ma il problema non sono soltanto le finanze pubbliche. C'è paura per le banche. Scrive S&P: "La politica economica e fiscale del governo ha eroso la fiducia degli investitori, come riflesso da un aumento del rendimento sul debito pubblico. Ciò a sua volta sta influenzando negativamente l'accesso delle banche al finanziamento del mercato dei capitali e, in misura minore, il loro coefficiente patrimoniale regolamentare".
E pensare che nel 1988, quando fu emessa la prima valutazione da S&P sull’Italia, il rating era AA+, ovvero a un passo dall'eccellenza. Poi è stato via via un declino inarrestabile con una sequenza di valutazioni che per vent'anni sono oscillate tra lo stabile e il negativo, neanche una volta positivo, fino ad arrivare a un passo dal baratro.