Non siamo un Paese attrattivo per gli operatori stranieri. Nel 2018 gli investimenti diretti esteri (Ide) sono stati pari al 20,5% del Pil, 361 miliardi di euro circa. L'Italia si colloca al penultimo posto nell’Ue. Fa peggio solo la Grecia.
A lanciare l’allarme è la Cgia di Mestre, secondo cui a pesare sulle scelte degli investitori stranieri sono in particolare l’elevata tassazione, una burocrazia asfissiante e poca certezza del diritto.
E, in effetti, non sono poche le big company straniere che quest’anno sono state al centro della cronaca: ArcelorMittal (Taranto), Bekaert (Incisa Valdarno – Fi), Bosch (Bari), ex-Embraco (Riva di Chieri – To), Unilever (Verona) e Whirlpool (Napoli).
Secondo gli ultimi dati Istat disponibili (anno 2017), le multinazionali (ovvero le imprese a controllo estero residenti in Italia) sfiorano le 15 mila unità, danno lavoro a poco più di 1.350.000 addetti e producono 572,3 mld di fatturato l’anno.
“Sebbene siano sempre più diffuse nel settore dei servizi e meno nel comparto industriale – spiega il segretario della CGIA Renato Mason – le multinazionali estere sono comunque una componente importante della nostra economia, soprattutto nei settori ad alto valore aggiunto. Ricordo, inoltre, che queste realtà danno lavoro direttamente al 6% circa degli occupati registrati in Italia e concorrono a produrre poco più del 17% del fatturato nazionale”.