A 17 anni dalla posa della prima pietra, il Mose è stato sottoposto per la prima volta a un test completo. Tutte le 78 dighe mobili, che dovrebbero proteggere Venezia dall’alta marea, sono state alzate.
Un appuntamento che per i tecnici del Consorzio Venezia Nuova - che dal 2014, cioè dall’epoca successiva agli arresti per tangenti, il Consorzio è retto da amministratori straordinari - rappresenta un passo verso la conclusione della maxi-infrastruttura idraulica da 5,5 miliardi di euro, la cui data definitiva è il 31 dicembre 2021.
La notizia è tutta qui, nel senso che non si tratta di un collaudo vero e proprio. In pratica, il test non dà la prova che l’opera funzioni davvero con l’alta marea in condizioni di moto ondoso. E in alcune giornate il vento fischia sul serio nella Laguna di Venezia.
Così come fa una certa impressione vedere che la ruggine ha già cominciato ad assalire le paratoie. In altre simili opere realizzate in altri paesi non per caso sono state scelte perlopiù infrastrutture che quando non sono in funzione sono sopra il pelo dell’acqua marina (non sotto come il Mose). A tal proposito c’è il rischio concreto che la manutenzione delle dighe mobili possa costare più dell’opera stessa (ovvero 5,5 miliardi). È altrettanto vero che il governo era finito in cul de sac, nel senso che a questo punto rinunciare all’opera sarebbe costato troppo.
Intanto il piano “Italia veloce” presentato dall’esecutivo ha inserito il Mose tra le 36 opere idrauliche di cui velocizzare la realizzazione. Sarà la volta buona?