È stata respinta la richiesta di sospensiva presentata da ArcelorMittal al presidente della Quarta Sezione del Consiglio di Stato, Luigi Maruotti, contro la sentenza del Tar di Lecce che impone all'azienda di ottemperare all'ordinanza del sindaco di Taranto Rinaldo Melucci e di spegnere gli impianti dell'area a caldo entro il 14 aprile. Secondo il presidente di sezione, "non risulta e non è stata comprovata la circostanza che, in assenza di immediate misure cautelari, per l'appellante si produrrebbe uno specifico pregiudizio irreparabile, prima della data dell'11 marzo 2021", quando si riunirà l'organo collegiale.
L’annosa questione dell’ex Ilva a Taranto rimane comunque, a prescindere dagli esiti giudiziari della diatriba. Resta sul terreno la scelta politica, della politica. Anche una eventuale trasformazione dell’impianto in versione ‘green’, infatti, non offre una concreta soluzione. Semplicemente, non ha (più) senso mantenere una fabbrica metalmeccanica di quelle dimensioni all’interno della città pugliese o di qualunque altro centro urbano. La soluzione è ridurre al minimo l’impatto ambientale e ricostruire l’impianto all’esterno del perimetro urbano, preservando i posti di lavoro.
Nel frattempo l’impianto continua a uccidere nella città. E continuerà a farlo per molti anni, vista l’inesorabile lentezza nella progressione delle malattie causate dai fumi e dalle polveri altamente inquinanti, anche se i forni fossero spenti subito.
Il circolo vizioso del ‘meglio morire lavorando piuttosto che di fame” va spezzato. Una volta per tutte.