Nonostante qualche novità di rilievo, il Piano nazionale di ripresa e resilienza presenta ancora diversi limiti. Secondo Greenpeace, “occorre salutare con favore l’assenza di finanziamenti diretti al progetto Ccs di Eni a Ravenna, l’inserimento delle smart grid, degli elettrolizzatori per 1 GW e dell’agrovoltaico che si aggiunge all’agrisolare, seppure con risorse limitate”. Tra le note positive anche “l’accenno alle tecnologie per le fonti rinnovabili offshore ma con poche risorse e peraltro condivise con altri progetti innovativi, un miglioramento sulle colonnine di ricarica elettrica (rispetto alla precedente versione) ma al di sotto di quello che servirebbe. Non è ancora chiaro, inoltre, se le riforme per sveltire le autorizzazioni alle rinnovabili consentiranno di vedere una crescita di almeno 6 GW all’anno, oltre 6 volte quanto registrato l’anno scorso.”
Sulla mobilità urbana, invece, “è prevista una cura del ferro che basterebbe forse per la sola Roma, investimenti nella mobilità ferroviaria locale limitati che, tra l’altro, migliorerebbero ben poco la qualità dell’aria delle nostre città”, attacca l’Ong. Restando alle note negative – continua Greenpeace - “manca una svolta sull’economia circolare, assenti misure per la riduzione della produzione di rifiuti e l’innovazione necessaria a ridurre il ricorso all’usa e getta specie per la plastica: un percorso che potrebbe aprire all’uso massiccio di inceneritori con rischi sanitari pericolosi.”
Poi un’amara constatazione. In tema agricolo, secondo Greenpeace, “evidentemente il comparto non è considerato parte della transizione ecologica: non c’è un riferimento preciso allo sviluppo dell’agricoltura ecologica e biologica, né a un obiettivo di riduzione del numero dei capi allevati spostando le risorse della Pac (Politica agricola comune) su produzioni agroecologiche. L’importante stanziamento sul biometano, fonte che può contribuire alla decarbonizzazione, rischia però, in assenza di una politica agricola orientata alla riduzione delle emissioni e dei capi allevati non solo di mantenere i loro impatti su ambiente e salute, ma addirittura di stimolare richieste per nuove autorizzazioni, in aree già fortemente colpite dagli impatti del settore zootecnico intensivo.”