I principali provvedimenti introdotti dal governo gialloverde (Conte 1) sono stati due: il cosiddetto reddito di cittadinanza e quota 100, uno strumento di pensionamento anticipato. La cifra 100 è un valore che deve essere ottenuto sommando l’età anagrafica del lavoratore a quella dei contributi che lo stesso ha versato nel corso della sua vita lavorativa.
Mentre sul primo strumento sale la polemica politica, il secondo sembra non interessare quasi a nessuno. Eppure quota 100 ha fallito i suoi obiettivi, se si osserva il provvedimento voluto dalla Lega con lo stesso schema con il quale Salvini critica il reddito di cittadinanza. Nell’idea del partito proponente, la Lega, lo strumento doveva servire a favorire un ingresso più robusto, in termini quantitativi, dei giovani nel mercato del lavoro. Qualcuno si era persino spinto a sostenere che il tasso di sostituzione poteva aggirarsi attorno al rapporto 1 a 2-3. Ovvero, per ogni pensionato in più 2-3 nuovi occupati. Sfortunatamente, l’evidenza empirica inverte il rapporto. Più di due pensionati per aumentare di un’unità gli occupati.
Il che non stupisce affatto. La letteratura scientifica ha ampiamente dimostrato che non esiste alcun automatismo tra uscita e ingresso nel mercato del lavoro. Innanzitutto, perché non è osservabile una correlazione diretta tra comparti-settori e lavoratori in uscita ed entrata. In altri termini, se va in pensione un lavoratore metalmeccanico, non è assolutamente detto che lo stesso settore necessiti di reintegrare quella posizione. Cosa che invece potrebbe essere necessaria in altri ambiti. Inoltre, la riorganizzazione dei processi produttivi muta piuttosto rapidamente nel tempo.
Il punto è che il lavoro non si crea modificando le regole del gioco (che sia quota 100 o il reddito di cittadinanza), bensì puntando su istruzione-formazione, investimenti, crescita e sviluppo. La supposizione invece di anticipare il pensionamento per aumentare gli occupati è un’idea smentita dai fatti.