Il sistema economico della bellezza italiano, ovvero il patrimonio storico, artistico e culturale, quello naturalistico e paesaggistico, i servizi ad essi collegati (come trasporti e ospitalità) e la produzione dei settori del Made in Italy design-driven, complessivamente, contribuisce al Pil italiano per il 17,2% (di cui il 6% deriva dalla fruizione del patrimonio culturale e paesaggistico) e comprende 341.000 imprese per un fatturato complessivo annuo di 682 miliardi di euro. È quanto emerge dalla ricerca ‘L’economia della Bellezza’, elaborata dall’Ufficio Studi di Banca Ifis.
“La bellezza rappresenta una vera e propria risorsa strategica per progettare il futuro in modo sostenibile e collaborativo, una risorsa strategica fatta di progetti e processi, ma anche di responsabilità e di solidarietà”, spiega Ernesto Fürstenberg Fassio, vicepresidente di Banca Ifis.
Che le identità culturali e artistiche dei nostri territori rappresentino una risorsa fondamentale per uscire dall’emergenza e per avviare un nuovo sviluppo sostenibile per l’ambiente, l’economia e per le persone non c’è dubbio. Il punto è che l’economia della bellezza si basa su ambiti pro-ciclici, che vanno bene quando l’economia è in fase espansiva. Una politica industriale efficace dovrebbe mixare attività pro- e anti-cicliche, specialmente nel Mezzogiorno, evitando concentrazioni territoriali, soprattutto laddove il tasso di disoccupazione è particolarmente elevato. Una lezione che la pandemia dovrebbe aver insegnato.