Il G20 è un formato oggi in crisi, ma resta comunque un importante forum di incontri ai massimi livelli. Confrontando i dati di oggi con quelli di trent’anni fa, si osserva, oltre alla crescita esponenziale della Cina, il fatto che gli Stati Uniti, oggi come nel 1990, rappresentano circa un quarto dell’economia mondiale. Rispetto a tre decenni fa, perdono peso quasi tutti gli altri Stati e, in particolare, l’Unione europea e il Giappone.
Nel confronto fra Paesi, emergono le significative differenze su variabili chiave quali la quota di anziani sulla popolazione (29,8 per cento in Giappone e tra 7 e 8 in India e Indonesia), la partecipazione femminile al mercato del lavoro (63,4 per cento in Cina e 27,6 in India), la quota di spesa pubblica sul Pil (50 per cento in UE, 17,5 in Indonesia, 33,1 in Cina e 38,5 negli Stati Uniti), la quota di debito pubblico sul Pil (dal 261,3 per cento del Giappone, al lordo degli avanzi previdenziali, al 121,7 degli Usa, al 77,1 della Cina fino al 39,9 dell’Indonesia e al 19,6 della Russia).
Alcuni dei Paesi del G20, inoltre, registrano grandi e persistenti avanzi della bilancia dei pagamenti corrente (Germania, Cina, Giappone, Corea del Sud, Russia), altri registrano deficit cronici e sono spesso andati incontro a situazioni di crisi finanziaria.
Se queste differenze non si trasformeranno in contrapposizioni tra blocchi, sarà forse ancora possibile che il dialogo tra i grandi della Terra riprenda per affrontare nodi cruciali – come la trasformazione energetica e le regole della globalizzazione – che evidentemente non possono essere affrontati e risolti dai singoli Paesi.
Peraltro, Paesi come Cina, India, Indonesia e numerosi Stati africani, sanno bene che il loro sviluppo è in gran parte dovuto alla liberalizzazione degli scambi che ha avuto luogo negli ultimi trent’anni. In estrema sintesi, la globalizzazione ha aumentato la disuguaglianza su base domestica, ma l’ha parzialmente ridotta su base mondiale nel confronto tra Paesi proprio in virtù della crescita di economie inizialmente modeste e della conseguente emersione di una nuova classe media nei Paesi in via di sviluppo e soprattutto nelle economie emergenti.
Ma gli squilibri tra Nord e Sud e del mondo restano molto rilevanti, come dimostra l’evidenza empirica: ad esempio, anche sommando tutte insieme le economie dell’acronimo BRICS, ovvero Brasile, Russia, India, Cina, e Sud Africa, il risultato resta al di sotto del Pil della prima economia al mondo (fonte: My Data Jungle). Da questo punto di vista sembra mutato poco rispetto a 30 anni orsono. Se invece si leggono questi dati in chiave prospettica, di lungo periodo, allora si coglie il senso del cambiamento che diverrà maturo nei prossimi anni. E che vede scendere dal podio gli Stati Uniti, ma anche il Giappone (attuale terza economia al mondo) ed l'Europa.