Il più importante centro studi a livello mondiale che monitora la spesa militare – lo Stockholm International Peace Research Institute – aveva segnalato nell’aprile scorso che la spesa militare in Europa nel 2022 aveva già registrato il più forte aumento su base annua degli ultimi tre decenni e insieme la variazione più consistente del mondo: più 13 per cento.
Adesso entra in scena Greenpeace, che ha pubblicato il suo rapporto “Arming Europe”, secondo cui, dal 2014, i paesi Nato europei hanno aumentato del 50 per cento le spese militari (da 145 a 215 miliardi di euro) e soltanto nell’anno 2023 proprio queste spese dovrebbero vedere un’impennata addirittura del 10 per cento in termini reali.
Si tratta soprattutto di importazioni, triplicate dal 2018, e per metà provenienti dagli Stati Uniti, ovvero i reali beneficiari del riarmo europeo in termini economici. Nel frattempo, gli stessi Paesi europei sono caduti in una spirale di stagnazione economica, inflazione alle stelle e debito pubblico in forte crescita.
Nel rapporto si specifica che l’acquisto di armi può essere paragonato agli investimenti in conto capitale della spesa pubblica. Nei Paesi Ue della Nato, la spesa pubblica in dieci anni è aumentata del 35 per cento, ma l’acquisto di armi è cresciuto del 168 per cento, quasi cinque volte più velocemente.
La domanda a questo punto è: questa spesa militare, quale effetto economico ha in termini di crescita e occupazione? E come si può confrontare rispetto alla spesa pubblica per l’istruzione, la sanità e l’ambiente? Qui le risposte degli economisti che hanno curato la stesura del report - Chiara Bonaiuti, Paolo Maranzano, Mario Pianta, Marco Stamegna -, è piuttosto chiara. E parte dal fatto che se metà di quello che spendi va in acquisto di beni importati, non crea produzione e occupazione interna.
L’impatto sull’occupazione della spesa pubblica per l’istruzione, la sanità e l’ambiente (secondo l’analisi proposta nel report) è da due a quattro volte superiore a quello atteso da un aumento nella spesa per le armi. La militarizzazione è un “cattivo affare” anche dal punto di vista del business.