I dazi voluti da Donald Trump e le tensioni geopolitiche zavorrano l’economia mondiale, insieme al ciclo di rialzo dei tassi della Federal Reserve Usa. Il World Economic Outlook dell’Fmi, presentato a Bali, certifica il deterioramento globale e registra il rallentamento della crescita, che nel 2018 e 2019 si fermerà al 3,7%. Una correzione di -0,2 punti percentuali rispetto alle stime di luglio. Come scrive il capoeconomista del Fondo, Maurice Obstfeld, “il Pil si è appiattito a causa del materializzarsi dei rischi economici”.
Per l’Italia, il prodotto interno lordo è valutato in aumento dell’1,2% nel 2018 e dell’1% nel 2019. Non mancano, poi, alcune raccomandazioni, come quella a non riformare la legge Fornero e il Jobs Act. E ancora: "Paesi con limitato spazio di bilancio (come Francia, Italia e Spagna) dovrebbero usare questo periodo di crescita e di politica monetaria accomodante per ricostruire cuscinetti di bilancio, che potrebbero alleviare le tensioni fra banche e debito sovrano”. E in conferenza stampa, tornando sull’Italia Obstfeld afferma: “È importante che il governo operi nel contesto delle regole europee”.
Ma, casi nazionali a parte, Obstfeld vede “nuvole all’orizzonte”. Le più cupe sono quelle che incombono sul multilateralismo: “Senza politiche inclusive, il multilateralismo non sopravviverà. E senza multilateralismo, il mondo sarà più povero e più pericoloso”. Oltre a ricordare che i dazi disarticolano le catene globali della produzione e rallentano la diffusione dell'innovazione, il rapporto evidenzia che le ritorsioni dei Paesi colpiti dalla politica commerciale degli Stati Uniti possono portare le tensioni a un'intensità tale da innescare un “rischio sistemico”. Per l’Fmi, con un'escalation della guerra commerciale, il Pil mondiale perderebbe lo 0,8% nel 2020 e lo,4% nel lungo periodo.
Fuori dallo scenario della guerra commerciale, in alcuni Paesi la crescita ha comunque raggiunto un picco, alimentata da misure che tuttavia non sono sostenibili nel medio-lungo periodo. È il caso degli Stati Uniti, arrivati alla piena occupazione anche grazie agli effetti della riforma fiscale. Questa spinta però terminerà nel 2020, quando il ciclo di rialzi dei tassi intrapreso dalla Fed sarà al suo massimo. La crescita Usa, quindi, è prevista in frenata nel 2019 (al 2,5% dal 2,9% del 2018). Il raffreddamento del Pil non risparmierà l’Eurozona, ma sarà particolarmente pronunciato per i mercati emergenti e in via di sviluppo.
Ma l'Fmi torna, poi, al problema originario e ribadisce due richiami espliciti a Stati Uniti e Germania. I primi, che sono in piena occupazione, hanno un forte deficit commerciale e conti pubblici non sostenibili, dovrebbero stabilizzare e ridurre il debito pubblico e ritirare le misure procicliche (dalla riforma fiscale alla spinta agli investimenti), che contribuiscono agli squilibri globali. La Germania, che invece ha surplus commerciale e di bilancio, dovrebbe aumentare gli investimenti per spingere la crescita potenziale e ridurre gli squilibri esterni. Che, invece, aumentano.
Negli ultimi mesi le condizioni di credito nei mercati emergenti hanno subito una forte stretta. Il graduale rialzo dei tassi Usa, insieme alle ripercussioni globali delle guerre commerciali, “hanno scoraggiato - scrive Obstfeld - l’ingresso di capitali, indebolito le monete, depresso i mercati azionari, oltre a mettere pressione su rendimenti e spread. Fenomeni tanto più marcati in Paesi che attraversano crisi interne, come Argentina, Brasile, Turchia e Sudafrica”.
Per il Fondo ancora non si rischia una fuga generalizzata dai mercati emergenti. Con l’avviso, però, che una brusca frenata dei paesi, appunto, emergenti (responsabili del 40% del Pil mondiale) potrebbe tradursi in una seria minaccia anche per le economie avanzate.
Anche per questo i Governi farebbero meglio a prepararsi a eventuali scossoni costruendo idonei cuscinetti di bilancio. Il continuo aumento del debito pubblico e privato, spiega l'Fmi, fa crescere le vulnerabilità finanziarie.