La guerra economica in corso tra Russia e Stati Uniti aumenta di intensità, arrecando danni enormi a Mosca, ma anche affanni industriali e finanziari ai mercati maggiormente dipendenti sotto il profilo energetico e delle materie prime: i paesi economicisti dell’Europa occidentale.
Il tentativo della banca centrale russa è quello di prezzare meglio la valuta nazionale, colpita dalle sanzioni finanziarie messe a punto da Washington e Bruxelles. Non secondaria è la creazione di una nuova impalcatura monetaria e di interscambio globale, che non veda più il dollaro come moneta di riferimento. L’obiettivo è di intaccare il primato finanziario statunitense, logorando la sostenibilità della bilancia commerciale Usa, già ampiamente negativa.
Il processo di dedollarizzazione rivela il desiderio di accelerare la transizione verso un nuovo ordine multipolare. Mosca però non può fare affidamento alle proprie sole forze, economicamente limitate. Ecco perché chiama a sé i Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), contraddistinti dall’esportazione delle materie prime. Gli accordi bilaterali in fase di perfezionamento per l’impiego di rubli, yuan, rupie, real e rand nell’interscambio di materie e beni essenziali (anche bellici) minerebbero senza dubbio il potere monetario degli Stati Uniti, che a sua volta sostiene l’industria militare domestica.
L’intento russo è audace, ma non impossibile e sarà comunque messo alla prova dall’inevitabile crisi alimentare che nei prossimi mesi colpirà i mercati globali, ma che vede proprio la superpotenza a stelle e strisce come principale produttore/esportatore mondiale di derrate. Per riscaldare l’Europa serviranno (forse) rubli, ma per sfamare il mondo continueranno a servire (soprattutto) dollari.