Negli ultimi mesi si è spesso parlato delle decisioni di politica monetaria, giuste o sbagliate, della Banca Centrale Europea. Invece, non si è forse abbastanza evidenziato il difficile ruolo che deve affrontare la Bce, rispetto a tutte le altre banche centrali del mondo. Le imperfezioni del mercato unico europeo, ma soprattutto la presenza di 20 diverse politiche fiscali domestiche, generano infatti 20 inflazioni differenti.
A giugno, alcuni Paesi europei avevano già raggiunto (o quasi) la soglia target del 2 per cento. Per esempio i tassi di inflazione riportati da Spagna e Belgio erano dell’1,6 per cento, quello della Grecia raggiungeva ormai il 2,7, e quello della Finlandia era sceso al 4,1. Al contrario, in Slovacchia l’inflazione era ancora superiore all’11 per cento, mentre nei tre Paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) superava l’8.
Presto potremmo dunque trovarci nella situazione paradossale che una serie di Paesi dell’Eurozona avrebbero bisogno di una politica monetaria molto meno restrittiva (perché il loro tasso d’inflazione ha già raggiunto l’obiettivo del 2 per cento), mentre altri avrebbero bisogno (secondo la logica di Francoforte) di una politica molto più restrittiva per abbattere un’inflazione che resta elevata.
Il che ci riporta al vero problema di base: l’assenza di un’Unione fiscale, oltreché monetaria. A quel punto la Bce avrebbe gli stessi potenziali poteri della Federal Reserve statunitense.