Come è possibile che in poco tempo la Turchia, da molti indicata quale esempio da seguire in termini di crescita e sviluppo, sia entrata in una violenta crisi economica e finanziaria dalla quale fatica a sollevarsi? Se lo chiede l’economista Rony Hamaui.
L’ascesa al potere di Recep Erdoğan e del partito da lui fondato, l’Akp (Partito dello sviluppo e della giustizia), all’inizio degli anni Duemila, ha portato un grosso cambiamento di natura culturale, ma una forte continuità dal punto di vista della politica economica. Fino al 2016 la Turchia è cresciuta mediamente di oltre il 5% l’anno in termini reali, milioni di posti di lavoro sono stati creati, mentre l’inflazione è rimasta sotto controllo, attorno al 10%. E anche se i conti con l’estero presentavano un rilevante deficit, è stato finanziato grazie agli investimenti dall’estero.
Il fallito colpo di stato del 15 luglio del 2016 e la successiva violenta repressione hanno segnato una svolta. Erdoğan ha voluto la fine della Repubblica parlamentare e la nascita della Repubblica presidenziale. È in quel periodo che è stata aumentata la spesa sociale, portato avanti un ambizioso programma di garanzie pubbliche sui prestiti privati alle imprese ed esercitata una costante pressione sulla banca centrale turca affinché tenesse bassi i tassi di interesse, nonostante un’inflazione elevata. Le politiche espansive hanno portato al surriscaldamento dell’economia e alla creazione di sbilanciamenti commerciali. Tra il 2016 e il 2017, il Pil reale è salito più del doppio.
Nei mesi successivi la crescita delle tensioni politiche con gli Usa e il rialzo dei tassi Usa hanno favorito forti flussi in uscita dalle economie emergenti. Così ad agosto 2018 la crisi è esplosa: la lira turca ha perso quasi il 40% del suo valore e l’inflazione è lievitata a oltre il 20%. La banca centrale è stata costretta ad aumentare i tassi d’interesse, il credito si è contratto e il Pil si è ridotto al -3% su base annuale.
Eppure la crescita potenziale del paese resta alta e maggiore di quella di gran parte dei paesi emergenti (e avanzati). Invece, oggi, la Turchia (insieme ad Argentina e Italia) è uno dei pochi grandi paesi in recessione. Che il comune denominatore sia il fattore politico piuttosto che economico?