Lunedì (20 dicembre) è stata un’altra giornata sulle montagne russe per la lira turca, passata in poche ore dal crollo al rimbalzo. Scosse che lasciano sconcertati gli osservatori e confermano la grande incertezza che circonda la politica economica turca. A innescare una nuova raffica di vendite è stata l’ultima sortita di Recep Tayyip Erdogan: “Stiamo abbassando i tassi di interesse. Non aspettatevi altro da me. Da musulmano continuerò a fare quello che è richiesto dal decreto divino”. Il presidente si riferisce alla dottrina islamica che vieta l’applicazione di alti tassi di interesse.
Dichiarazioni subito accolte dagli investitori con un nuovo flusso di vendite sulla già provata lira, che in poche ore è precipitata del 10% e oltre sfondando al ribasso quota 20 contro l’euro e quota 18 contro il dollaro. Un mese fa la divisa turca era scambiata intorno a 10 contro il biglietto verde e 12 contro l’euro. Un vero e proprio tracollo. Giornata nera anche per le obbligazioni turche denominate in dollari, vittime di massicce vendite.
In serata Erdogan è nuovamente intervenuto per garantire che la riduzione dei tassi farà scendere l’inflazione nel giro di pochi mesi - tesi opposta alle più consolidate teorie economiche - e che la Turchia non volterà le spalle alle regole dell’economia di mercato. Erdogan ha poi annunciato una serie di misure per tutelare i depositi in valuta locale nel tentativo di fermare la corsa alla conversione dei risparmi in dollari ed euro: il governo coprirà le perdite da svalutazione accusate dai depositi in lire turche se queste perdite saranno superiori ai tassi d’interesse pagati dalle banche sui depositi. È stato questo annuncio a far invertire la rotta al cambio, con la lira che ha recuperato terreno fino a risalire intorno a quota 15 sul dollaro, annullando le perdite di giornata.
Scosse telluriche che sembrano non scalfire le convinzioni di Erdogan che nelle ultime settimane ha più volte rispedito al mittente i moniti sui pericoli di una politica monetaria di questo tipo e ha ribadito che non tornerà mai sui suoi passi. Negli ultimi quattro mesi ha chiesto più volte il taglio dei tassi, nonostante l’aumento dell’inflazione, spingendo la Banca centrale turca ad andare in direzione opposta rispetto agli altri istituti centrali globali, che stanno cercando di contrastare il rialzo dell’inflazione stringendo le maglie della politica monetaria.
La scorsa settimana la Banca centrale turca ha tagliato il costo del denaro al 14%, nonostante un’inflazione che ha già superato il 20%. I tassi reali sono dunque in territorio fortemente negativo. In tal contesto, a poco è servita la decisione del presidente di aumentare del 50% il salario minimo mensile, che all’inizio del 2022 passerà da 2.826 a 4.250 lire. Finché la lira continua a svalutarsi a questi ritmi, quel denaro varrà sempre meno. Il che, evidentemente, ha un effetto sui cittadini ma anche sulle imprese. Settori cruciali come quello delle nocciole - di cui la Turchia è il maggiore produttore al mondo - stanno entrando in grave crisi a causa dell’impennata dei costi all’importazione di fertilizzanti, pesticidi, energia e imballaggi.