Il caso Evergrande ha portato nuovamente all’attenzione il tema dell’enorme debito dell’economia cinese e dei rischi di contagio in caso di default. A marzo 2021 il debito del settore non finanziario (pubblico e privato) ha superato i 46 mila miliardi di dollari pari al 287% del Pil. Negli ultimi due decenni è lievitato al ritmo del 18% annuo in media.
La Cina, che nel 2001 rappresentava meno del 3% del debito non finanziario globale, è così balzata al 21%, seconda solo agli Usa. Fino al 2008 la crescita del debito ha viaggiato parallelamente al Pil, poi nel 2009 è stata registrata la prima accelerazione. Il comparto immobiliare è tra quelli che più hanno beneficiato di questo rapido accumulo di debito, che a lungo andare ha tuttavia finito per alimentare la speculazione e l’impennata dei prezzi di terreni ed edifici.
A fine 2020 le passività totali delle prime 5 società immobiliari superavano i 1.000 miliardi di dollari, circa 10 volte in più del 2011. Ad agosto dello scorso anno il governo ha quindi annunciato l’intenzione di frenare la crescita dei prezzi e dirottare il credito verso altri settori. La stretta è effettivamente arrivata solo nel 2021 con l’introduzione di soglie precise per tre indici di leverage di alcune grandi società immobiliari. Se un’azienda non rispetta nessuna delle tre soglie, l’anno dopo non potrà aumentare il proprio debito più del 15%.
Tuttavia la crisi di Evergrande e la sua propagazione agli altri developers, alle industrie collegate e ai mercati finanziari hanno costretto la PBOC a iniettare liquidità nel sistema, minando la credibilità dell’impegno delle autorità a contrasto della speculazione. Intanto l’Occidente monitora la situazione. Vedremo se gli investitori avranno imparato la lezione e faranno un re-pricing del rischio di credito degli emittenti cinesi o se invece anche la vicenda Evergrande non avrà insegnato nulla.
(in questo post sono riportati i principali passaggi di un articolo firmato da Marcello Minenna e pubblicato sul Sole 24 Ore).