L’India è destinata a guadagnare un ruolo crescente nel quadro mondiale lungo il resto del secolo. Un primato è già certo. Secondo le stime delle Nazioni Unite, il Subcontinente, che conta attualmente poco meno di 1,4 miliardi di abitanti, è previsto diventare entro il 2030 il primo e unico al mondo a superare il miliardo e mezzo. La Cina, invece, rimarrà sotto tale soglia (si trova attualmente poco sopra 1,4 mld ma ha già, di fatto, smesso di crescere).
Sullo scenario globale, India, Cina, assieme all’Africa nel suo complesso, rappresentano oltre la metà degli abitanti del pianeta. Hanno un ammontare analogo di popolazione, ma con livelli di fecondità molto diversi e che stanno alla base dei diversi ritmi di crescita. Ai due estremi stanno Africa e Cina. Il continente africano presenta i valori riproduttivi più alti del globo, con un numero medio di figli abbondantemente superiore a 4. Il paese del Dragone, al contrario, è scivolato sulle posizioni più basse al mondo, con un tasso di fecondità precipitato molto sotto 1,5. Ancora diverso il caso del subcontinente indiano che ha recentemente concluso la sua transizione riproduttiva raggiungendo il livello di equilibrio tra generazioni (circa due figli in media per donna; esattamente 2,1).
Come conseguenza delle diverse dinamiche della natalità, l’Africa continuerà a crescere in modo esuberante, la Cina sta già entrando nella fase di declino, mentre l’India andrà progressivamente a rallentare, iniziando però a diminuire solo nella seconda parte del secolo (dopo aver superato abbondantemente 1,6 miliardi).
Queste dinamiche si associano anche ad evoluzioni differenziate sulla struttura per età. L'Africa continuerà a contare su molti giovani. La Cina ha oramai chiuso la propria finestra demografica positiva (il cosiddetto “dividendo demografico”) rispetto alla crescita economica. La “politica del figlio unico” (introdotta nel 1979) ha rafforzato la consistenza relativa della popolazione in età attiva, quella tra i 20 e i 64 anni, tra la fine del secolo scorso e l’entrata in quello attuale. Stanno, però, entrando al centro della vita lavorativa le generazioni nate dagli anni ‘80 in poi, mentre le abbondanti generazioni nate quando la fecondità era elevata, si vanno spostando in età anziana. Il brusco passaggio da alta a bassa fecondità imposto per legge presenta, quindi, il suo conto, mettendo Pechino di fronte ai costi di squilibri particolarmente accentuati nel rapporto tra generazioni.
L’India ha, invece, avuto un percorso più graduale di riduzione della fecondità. La spinta del dividendo demografico è quindi più debole e tardiva rispetto alla Cina, ma anche gli squilibri demografici risultano in prospettiva meno gravi. Attualmente la fascia 20-64 presenta valori vicini al 65% in Cina e attorno al 58% in India. A metà del secolo il primo Paese si troverà con una incidenza della popolazione attiva scesa a meno del 55%, mentre il secondo salirà al 61%. Nel frattempo, secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, gli over 65 cinesi passeranno da circa il 12 al 26%, mentre quelli indiani da meno del 7 a circa il 14%.
Delhi difficilmente può accontentarsi di superare la Cina solo sul totale della popolazione, rimanendo in posizione di secondo piano nel protagonismo da esercitare all’interno dello scenario economico e geopolitico mondiale.
Il ruolo esterno, come evidenziano anche le mosse caute di New Delhi nella posizione rispetto al conflitto in Ucraina, è però oggi in larga parte frenato dalla necessità di gestire i problemi interni. È il Paese che deve affrontare il maggior grado di complessità nel rapporto tra democrazia e demografia. Questo la porta a scelte non sempre allineate al blocco delle altre grandi democrazie, proprio per la difficoltà di bilanciare le esigenze del proprio mondo interno con quelle che sono considerate priorità dal mondo esterno. Il subcontinente indiano da solo ha una popolazione più grande del complesso di tutti i Paesi occidentali. Un chiaro esempio delle difficoltà nel tenere insieme questi mondi è stata la resistenza a recepire in pieno gli impegni originari della Cop26 di Glasgow per limitare il riscaldamento globale. Che sia il contrasto al cambiamento climatico o le risoluzioni contro la Russia, sulla questione delle risorse e dell’energia Nuova Delhi tende a giocare una propria partita.
Sono ancora molti, del resto, gli indicatori di sviluppo, nella dimensione del benessere materiale e sociale, che vedono il gigante indiano in condizione particolarmente svantaggiata e con difficoltà a inserirsi in modo solido in un processo di miglioramento.
In particolare, il Report ASviS che monitora la posizione dei venti maggiori Paesi rispetto agli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), mostra come l’India si trovi verso il fondo alla classifica su tutti i primi sei goals (ridurre la povertà, sconfiggere la fame, promuovere la salute, l’istruzione di qualità, la parità di genere, garantire accesso ai servizi igienico sanitari), oltre che su vari altri goals strategici.
Non c’è dubbio, insomma, che si tratti del Paese che oggi maggiormente si trova in mezzo al guado tra un presente difficile e complicato da gestire e le potenzialità di un ruolo primario sullo scenario internazionale, in grado di condizionare con le proprie scelte gli equilibri geopolitici e le condizioni di sviluppo sostenibile dell’intero pianeta.