
Il debito pubblico statunitense continua a crescere. Ora viaggia intorno alla cifra monstre di 36,2 trilioni di dollari. E 9,2 trilioni di questo debito sono destinati a scadere o essere rifinanziati nel 2025.
Paradossalmente, una recessione potrebbe aiutare in qualche modo il presidente statunitense nel tentativo di raggiungere i propri obiettivi di politica economica?
La più grande crisi del debito del Paese, di cui Trump appare pienamente consapevole, potrebbe essere in effetti meglio gestita con tassi di interesse drasticamente più bassi, che sono quasi impossibili da abbassare senza una recessione.
In particolare, alla recessione farebbe seguito un intervento della Fed che andrebbe a stimolare l’economia, abbassando i tassi.
D’altronde, è noto che Trump è disposto a fare del suo meglio per abbassare i tassi e ridurre il deficit commerciale. Anche a costo di una recessione.
Ma questa manovra azzardata che, oltre alla riduzione dei tassi produrrebbe una serie di esternalità negative (tra cui il peggioramento degli indicatori del mercato del lavoro), potrebbe davvero riuscire a risolvere o quantomeno tamponare la crisi dei debito statunitense?
Si vedrà, intanto Goldman Sachs ha aumentato la probabilità di recessione nei prossimi 12 mesi dal 15% al 20%; JP Morgan la valuta al 40%. Poi ci sono i segnali dei mercati: l’indice S&P 500, che monitora le 500 più grandi aziende degli Stati Uniti, è sceso al livello più basso da settembre 2024, in segno di preoccupazione per il futuro.
Se poi a prefigurare una scenario di questo genere ci si mette anche il segretario al Tesoro statunitense (“Nessuna garanzia che negli Usa non ci sarà una recessione”), allora tutto comincia ad apparire un po’ più chiaro.