Le economie africane possono riuscire a crescere abbastanza velocemente per stare al passo con il boom demografico? È l’interrogativo che si pone il premio Nobel, Joseph Stiglitz, partendo dalla constatazione che circa tre quarti dei quattro miliardi di persone che si aggiungeranno entro la fine di questo secolo alla popolazione attuale saranno africani.
L'interrogativo rappresenta un problema che tormenta non solo l’ex vicepresidente della Banca mondiale, ma ad esempio anche il miliardario filantropo Bill Gates si è appassionato al tema. Il messaggio di Stiglitz non è rassicurante. Il miracolo della crescita osservata in Asia non si ripeterà nell'Africa sub-sahariana. Secono lui, “è necessario qualcosa di diverso”.
Ma nel frattempo i paesi africani continuano a indebitarsi, spesso per sostenere costosi progetti infrastrutturali co-finanziati dalla Cina e la disuguaglianza cresce.
Prendendo ad esempio due paesi tra quelli che stanno crescendo a ritmi più sostenuti, il premio Nobel si chiede se lo sviluppo osservato in Etiopia e Mauritius possa offrire un'alternativa al modello della "tigre asiatica".
Sebbene l’economia di Mauritius sia cresciuta a ritmi impressionanti negli ultimi 10 anni, la disuguaglianza è aumentata. Nello stesso periodo il divario tra il 10% più povero e quello più ricco è aumentato di circa il 37%.
L'Etiopia è stata propagandata come la migliore scommessa dell'Africa per sostituire nelle vesti di “fabbrica del mondo” paesi asiatici come Bangladesh, Vietnam e Cambogia. È vero che tra il 2010 e il 2016, le esportazioni di abbigliamento - il settore principale - sono salite da 13 milioni di dollari a 87 mln. Ma non c’è nessuna ricetta miracolosa, uno dei motivi dell’incremento dell’export è connesso alla dilagante offerta di manodopera a bassissimo costo.
Così, l'enorme dividendo demografico, che per alcuni avrebbe dovuto portare a crescita e posti di lavoro in Africa, non sembra più un dato scontato. Per Stiglitz, non c'è alcun deus ex machina economico in agguato, in grado di fornire un'improvvisa ondata di posti di lavoro e prosperità. O quantomeno non accadrà come in Asia con il manifatturiero. Proprio in questo settore Stiglitz rileva che "l'occupazione globale sta diminuendo a causa del più veloce incremento della produttività rispetto alla domanda". E, poi, se anche tutto il settore manifatturiero cinese fosse trasferito in Africa, con l'attuale tasso di natalità servirebbe a colmare soltanto una parte del fabbisogno occupazionale del continente.
Quindi, come conciliare in Africa lo sviluppo economico con una quantità (e qualità) sufficiente di posti di lavoro? La domanda resta aperta.