La Spagna torna al voto per la quarta volta in quattro anni. Quella del 10 novembre è un’elezione offuscata dalla crisi in Catalogna e dall’ascesa del partito (di destra) Vox.
Nel frattempo anche la prospettiva economica comincia a diventare più grigia. La crescita è rallentata e il tasso di disoccupazione resta il secondo più alto dell’Ue.
Dopo la crisi finanziaria del 2008, la Spagna ha sofferto caracollando tra la recessione e la stagnazione per cinque anni consecutivi. Poi, nel quinquennio successivo, il cambio di rotta. E il Pil annuo ha ballato tra il 2,5% e il 3%. Non una crescita stellare, ma comunque rispettabile.
La disoccupazione è scesa (cinque anni fa era superiore al 26% e vicina al 56% quella giovanile), ma resta ancora oggi la seconda dell’Ue (dopo la Grecia) e, per la prima volta dal 2014, l’Fmi prevede un Pil sotto al 2% per il 2020.
A pesare sullo scenario macroeconomico è la situazione politica in Catalogna. La regione rappresenta il 19% dell’economia spagnola. E il turismo, che rappresenta un volano importante per tutto il paese iberico, sembra entrato in una fase calante.
Tuttavia, rispetto al 2008, meno persone sono occupate nel settore delle costruzioni e, al contempo, sia le famiglie sia le imprese hanno ridotto la leva finanziaria: cioè hanno contratto meno debiti.
Resta comunque evidente che senza un minimo di stabilità politica sarà difficile per Madrid riuscire a gestire l’economia con politiche di medio-lungo periodo. Le uniche che possono condurre verso una crescita robusta e prolungata.