La prima mossa del nuovo governo argentino guidato dal presidente Javier Milei è una vertiginosa svalutazione della moneta nazionale. Per un dollaro ci volevano 400 pesos, ora ce ne vogliono 800.
Il ministro dell’Economia Luis Caputo annunciato la decisione, affiancata a “un aumento provvisorio della tassa nazionale sulle importazioni e delle ritenute sulle esportazioni non agricole”. Caputo ammette che “per qualche mese le cose andranno peggio di prima, soprattutto in termini di inflazione. Lo dico perché, come dice il Presidente, è preferibile dire una verità scomoda che una bugia comoda”.
Fra le misure annunciate, oltre alla svalutazione della moneta domestica, la liberalizzazione delle importazioni, la sospensione delle spese pubblicitarie dell’amministrazione pubblica, il taglio dei ministeri da 18 a 9 e dei segretari di Stato da 106 a 54, la riduzione al minimo dei trasferimenti discrezionali dallo Stato nazionale alle Province, lo stop a nuove opere pubbliche e la cancellazione degli appalti approvati il cui sviluppo non sia ancora iniziato, la riduzione dei sussidi per l’energia e i trasporti.
Caputo attribuisce le colpe alle amministrazioni precedenti: “Siamo sicuramente di fronte alla peggiore eredità della nostra storia. Un Paese in cui gli argentini sono sempre più poveri, con un deficit di bilancio che supera i 5 punti e mezzo di Pil”. Il rischio maggiore è l’inflazione iperbolica, con una corsa dei prezzi che rischia di toccare il 15.000 per cento annuo.
Una reazione positiva è giunta a stretto giro: è quella del Fondo Monetario Internazionale, che ha detto di “accogliere con favore le misure annunciate”, parlando di “azioni coraggiose che mirano a migliorare significativamente le finanze pubbliche in modo da proteggere i più vulnerabili e rafforzare il regime dei cambi. La loro decisiva attuazione contribuirà a stabilizzare l’economia e a gettare le basi per una crescita più sostenibile e guidata dal settore privato”.