Quando Mauricio Macri entra in carica come presidente dell'Argentina è ministro degli Affari esteri. È il 2015 e il nuovo governo da lui guidato intraprende un nuovo approccio macroeconomico basato su due pilastri: una graduale riduzione del disavanzo primario (differenza tra entrate e uscite statali al netto della spesa per interessi) e un ambizioso regime di targeting per l'inflazione, che avrebbe dovuto portare l’incremento annuale a un tasso a una cifra in soli tre anni. E i mercati applaudono.
L’idea era che il paese avesse fatto tutto il necessario per ottenere una crescita economica sostenibile in modo più rapido. Presumibilmente, gli investimenti esteri diretti sarebbero cresciuti. Sarebbero dovuti, visto che poi non è stato così.
Il paese sudamericano ha, invece, subito la stagflazione nel 2016, seguita l’anno successivo da una ripresa basata sull’incremento del debito. Ciò ha portato a un aumento delle importazioni che non è stato accompagnato da una crescita proporzionale delle esportazioni, allargando il disavanzo delle partite correnti al 4,6% del Pil.
Poi, alcune settimane fa, i mercati hanno smesso di tifare, le aspettative si sono inasprite e il capitale è fuggito. La valuta nazionale, il “peso”, si è deprezzato del 19% rispetto al dollaro Usa soltanto nelle prime tre settimane di maggio.
In questa storia la Banca centrale argentina ha una responsabilità significativa. L’approccio adottato si è rivelato inefficace nel ridurre il livello dei prezzi al consumo e, allo stesso tempo, alti tassi di interesse hanno attirato nuovi flussi di capitale, ma più che altro di natura speculativa, che hanno peggiorato gli squilibri esterni e aumentato la vulnerabilità dell'Argentina agli shock esterni. Tutto scarsamente utile ai fini della crescita dell’economia reale.
La crisi valutaria ha finalmente rivelato le debolezze dell'Argentina. In prospettiva, il paese sarà esposto a differenti rischi. Tra questi la possibilità di continuare ad avere un’alta volatilità sui mercati, che però attirerebbe ancora investimenti speculativi. Inoltre, poiché il debito pubblico in valuta estera è più elevato rispetto a due anni prima, l'aumento del "rischio di cambio" potrebbe rimettere in discussione anche la sua sostenibilità. L’Argentina sembra annodarsi su sé stessa. Come uscirne resta un rebus.