Il Venezuela è intrappolato in una profonda crisi economica e sociale. La situazione del paese sudamericano ricorda quella della Germania del 1923 o dello Zimbabwe alla fine degli anni 2000.
La spirale inflazionistica è impressionante e continua a peggiorare mese dopo mese. Le ultime stime dell’Fmi indicano una crescita dei prezzi pari a 1.000.000% entro la fine dell'anno rispetto alla previsione del 13.800% di aprile.
Il bolivar, la valuta locale, ha perso il suo valore. Oggi, il salario minimo mensile è sufficiente per comprare tre pacchetti di carta igienica, un cartone di uova o 1 kg di carne. Eppure è stato aumentato di recente da Maduro del 103%, portandolo a 5.196 bolivares al mese, pari a 1,3 euro. Ma alla fine di giugno, un professore universitario ha fatto scalpore su Twitter quando ha cinguettato che aveva bisogno di quattro mesi di stipendio per riparare le suole delle sue vecchie scarpe.
Il Pil reale diminuirà del 18% nel 2018, il terzo anno consecutivo di diminuzioni a due cifre, determinate dalla significativa riduzione della produzione petrolifera, che genera il 90% delle entrate fiscali del paese, e dalle diffuse distorsioni macroeconomiche. Gli effetti sono devastanti. Collasso dell'attività economica, iper-inflazione e crescente deterioramento della fornitura di beni pubblici (assistenza sanitaria, elettricità, acqua, trasporti e sicurezza): è questa la dura realtà per i venezuelani.
Il paradosso è che l'attività economica in America Latina continua, invece, la sua lenta ripresa e gli investimenti stanno riprendendo forza. Complessivamente, la macroregione dovrebbe crescere dell'1,6% nel 2018 e del 2,6% nel 2019. Un bel salto in avanti rispetto all'1,3% osservato nel 2017. Mentre per il Venezuela la via che sembra al momento profilarsi è quella della guerra civile. Con il probabile intervento degli Usa.