Di necessità, virtù. Deve esistere un motto simile in Russia. Quella che doveva essere una dura punizione, da parte degli Usa e dell'Europa, per l'intervento in Ucraina e l'annessione della Crimea si è rivelata, non solo indolore, ma addirittura la medicina più efficace per il colossale, ma tutto sommato debole, apparato economico russo.
Sembra un paradosso, e nel contempo una beffa per le capitali che hanno deciso le restrizioni, ma il Cremlino non avrebbe potuto trovare miglior soluzione per alcune strutturali fragilità.
Il punto debole è l’invecchiamento demografico, che vede un progressivo calo della forza lavoro disponibile. Tanto che la disoccupazione è ormai ridotta a un invidiabile 5%. Il secondo è la scarsa capacità di attrarre investimenti esteri, che si attestano a un non entusiasmante 20% del Pil. Le sanzioni non hanno creato un danno diretto sul mercato del lavoro, tantomeno sul livello di investimenti, già basso.
A fronte di questo quadro sono poche le strade per irrobustire la ripresa registrata nel 2017, +1,5%, un primo risveglio dopo che i due anni post-Crimea, il 2015 e il 2016, hanno visto una forte recessione e un brusco calo del tenore di vita.
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