Se tutti i potenziali elettori del “partito della ‘ndrangheta” decidessero di vivere insieme, svuoterebbero – per poi occuparla – una città poco più grande di Palermo, Helsinki, Siviglia o Atene. Già, perché se la ’ndrangheta si presentasse oggi alle elezioni politiche in Italia con un proprio simbolo e una propria lista otterrebbe circa 700 mila voti eleggendo 8 parlamentari (cinque deputati e tre senatori).
È quanto stima Raffaele Rio, presidente dell’Istituto di indagini ricerche e servizi Demoskopika, secondo cui la ‘ndrangheta, attraverso i gruppi di condizionamento elettorale (espressione diretta delle oltre 400 ’ndrine sparse in tutta Italia), sostiene i candidati “appetibili” dell’intero arco costituzionale, condizionando la scelta dei rappresentanti istituzionali e, di conseguenza, ottenendo un ruolo significativo nella gestione, nel controllo degli enti pubblici centrali e locali, nel consolidamento delle relazioni con i gruppi politici, con il sistema burocratico e, infine, nell’accaparramento delle gare d’appalto.
Il tentativo di misurare la “forza elettorale” della ‘ndrangheta attraverso i gruppi di condizionamento, evidenzia confronti sorprendenti. L’ammontare dei voti ottenuti sarebbe simile a quello dei Repubblicani di Donald Trump alle elezioni presidenziali del 2020 nello stato del Connecticut (715.311 voti), dai Democratici di Joe Biden nel Nevada (703.486 voti) e alla somma del consenso ottenuto dall’Unione cristiano democratica (Cdu) e dal Partito Socialdemocratico (Spd), alle elezioni federali del 2021 nello stato di Brandeburgo, pari a 684.464 preferenze.
In testa, per capacità di condizionamento del voto elettorale della ’ndrangheta, si posizionerebbe il Mezzogiorno – Calabria in primis –, all’interno del quale le ’ndrine potrebbero contare su un mercato potenziale di circa 300 mila preferenze. A seguire Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta.