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La riforma della giustizia: l’analisi di Mauro De Muro, avvocato cassazionista

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Presso il Consiglio d’Europa è istituita una commissione per l’efficienza della giustizia (CEPEJ, 2020) che ha stilato un report sui paesi membri.

Si dirà, l’avranno redatto magistrati, avvocati o professori. Macché l’ha fatto uno con in mano una calcolatrice ed ha prodotto questo dato statistico: in Italia, il giudizio di primo grado ha una durata media (cd. disposition time - DT) tre volte superiore a quella europea, mentre il giudizio di appello addirittura otto volte superiore. Da qui la richiesta dell’Unione Europea all’Italia: ridurre i tempi del processo.

È una richiesta, rectius ordine, nell’ambito del programma Next Generation EU (NGEU) e che rappresenta una priorità per la giustizia penale e per il paese, inclusa nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) adottato dal Consiglio dei Ministri.

L’Italia, dinanzi tale richiesta, che fa? Semplice, del resto siamo maestri nell’eludere con disinvoltura gli obblighi: propone di mettere un timer nel fascicolo, programmato a seconda della gravità del reato, affinché il processo salti allo scoccare del tempo.

Nella proposta di riforma, questo timer immaginario, l’hanno chiamato “improcedibilità” ed è una sentenza con cui si chiude il processo nel caso in cui l’appello non sia definito in due anni e la cassazione in un anno o, comunque, entro la durata massima stabilita caso per caso.

Con la proposta di riforma si assiste ad una sovrapposizione tra i due istituti giuridici: improcedibilità e prescrizione. Quest’ultima, infatti, è l’istituto legato al tempo il cui effetto è quello di estinguere il reato qualora sia decorso un certo periodo di tempo dalla commissione del reato senza che sia intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna.

Con la riforma viene confermata l’attuale disciplina che prevede lo stop della prescrizione dopo la sentenza di primo grado.

Improcedibilità, invece, si ha quando il processo è subordinato ad una condizione, detta appunto di procedibilità e la sua mancanza ne impedisce la prosecuzione. Le condizioni di procedibilità sono, ad esempio, la presenza di una querela, istanza, richiesta, ecc., quindi, un atto formale, sottoscritto da una parte del processo la cui carenza provoca, appunto, l’improcedibilità.

Invece nella riforma, questa è la novità più clamorosa, tra le cause di procedibilità viene inserito il mero decorso del tempo, requisito tipico della prescrizione. In pratica una nuova forma di prescrizione del reato, vestita da improcedibilità, essendo parificata alla mancanza di un atto formale.

L’improcedibilità, come congegnata nella proposta Cartabia, pertanto, travolge tutto ciò che c’è stato prima, indagini, processo e sentenza, sia essa una pronuncia di assoluzione o di condanna.

Si arriva al paradosso che l’Italia, in risposta all’ordine ricevuto di fare processi più rapidi in virtù dei dati statistici europei, vedrà perso un mucchio di tempo a celebrare processi, in primo, in secondo e terzo grado, per poi doverli buttare nel cestino una volta colpiti dall’improcedibilità. Dunque, indagini, polizia giudiziaria, consulenze, cancellieri, giudici, PM, avvocati, interpreti: tutto inutile. Resterà in piedi solo la condanna - alle restituzioni o al risarcimento - emessa in favore delle parti civili.

Se fosse ancora vivo, vorrei vedere la faccia del mio professore di procedura penale Franco Cordero. Il suo manuale Procedura penale è forse il più importante testo italiano in materia. Sarei curioso di conoscere la sua reazione essendo stato lui anche professore emerito di filosofia del diritto, quella disciplina, cioè, che indaga sulla ratio della legge, su come si manifesta nella società e su come dovrebbe essere.

La disciplina dell’improcedibilità per superamento dei termini di durata massima dei giudizi di impugnazione, tuttavia, non si applica ai delitti puniti con l’ergastolo, mentre per alcuni gravi reati, ovvero associazione di stampo mafioso, terrorismo, violenza sessuale e associazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti, non ci sarà un limite al numero di proroghe, che vanno però sempre motivate dal giudice sulla base della complessità concreta del processo. A tal proposito è prevista, la possibilità di impugnare in Cassazione l’ordinanza che proroga i termini della durata massima del processo. Dunque nella riforma, chiamata a diminuire i processi, c’è una norma che, al contrario, ne farà nascere a raffica di nuovi per gemmazione. Gli imputati (giustamente) impugneranno al 100% un’ordinanza in cui li tiene ancora sotto processo.

Il DDL sulla giustizia, prevede comunque, interventi tesi a velocizzare le procedure, tipo la digitalizzazione, il processo penale telematico, videoregistrazioni e collegamento a distanza, ma soprattutto, l’assunzione massiccia di personale: 16500 giuristi, oltre magistrati e cancellieri.

Interessante è poi il diritto all’oblio per gli assolti. Il governo nell’esercizio della delega dovrà ‘prevedere che il decreto di archiviazione, la sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione, costituiscano titolo per l’emissione del provvedimento di deindicizzazione che , nel rispetto della normativa europea in materia di dati personali, garantisca in modo effettivo il diritto all’oblio degli indagati o imputati’.

Resto perplesso, invece, dinanzi l’introduzione dei criteri di priorità. Gli uffici del pubblico ministero, per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, dovranno individuare criteri di priorità trasparenti, al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, tenendo conto anche del numero degli affari da trattare e dell’utilizzo efficiente delle risorse disponibili. Tale “priorità” entra in conflitto con l’obbligatorietà dell’azione penale.

Insomma, speriamo che le prossime riforme, non vengano ispirate solo ai dati statistici europei. Che succederebbe, infatti, in tema di sanità, trasporti, pensioni?

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