Giuseppe Conte annuncia un’organizzazione del M5S come contrappeso al potere acquisito in questi anni da parlamentari e uomini di governo e un voto degli iscritti che potrebbe confermare il tetto del doppio mandato. E Luigi Di Maio decide di rompere, definitivamente, con il Movimento che in pochi anni lo ha portato a divenire il capo della Farnesina.
Il ministro degli Esteri lancia il suo attacco schierandosi con nettezza sul fronte governista. Lo fa in nome del fatto che “il mondo è cambiato” e che il M5S non può restare “al 2018”, cioè all’anno in cui lui era il capo politico e decise di portare Conte a Palazzo Chigi in maggioranza con la Lega.
Sembra passato un secolo da quando Di Maio si mise in viaggio alla ricerca di relazioni con i gilet gialli francesi o si imbarcò nella campagna (durata due giorni) per l’impeachment di Mattarella.
Ma la storia dell’unico politico che è stato ministro nei tre i governi di questa legislatura, è in realtà un’altra: Di Maio è sempre stato un moderato. E ora ha deciso di compiere l’azzardo forse più grande della sua carriera politica. Abbandona la casa madre e rende ufficiale la sua mutazione: da movimentista a stratega di palazzo che fonda un nuovo gruppo parlamentare (a seguire la scelta di Di Maio 60-70 parlamentari). Per fare cosa, per andare dove?
Il progetto politico vero e proprio sarà probabilmente lanciato tra settembre e ottobre. Beppe Sala e il finanziatore Gianfranco Librandi, Federico Pizzarotti, Bruno Tabacci, Luigi Brugnaro: gli interlocutori principali sono questi, ma c’è attenzione a ciò che avviene nella Lega e in particolare all’amico Giancarlo Giorgetti.