“Rassegno le mie dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica. Le votazioni di oggi (14 luglio) in Parlamento sono un fatto molto significativo dal punto di vista politico. La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più. È venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo (il riferimento è al M5S, ndr). In questi giorni da parte mia c’è stato il massimo impegno per proseguire nel cammino comune, anche cercando di venire incontro alle esigenze che mi sono state avanzate dalle forze politiche. Come è evidente dal dibattito e dal voto di oggi in Parlamento questo sforzo non è stato sufficiente. Dal mio discorso di insediamento in Parlamento ho sempre detto che questo esecutivo sarebbe andato avanti soltanto se ci fosse stata la chiara prospettiva di poter realizzare il programma di governo su cui le forze politiche avevano votato la fiducia. Questa compattezza è stata fondamentale per affrontare le sfide di questi mesi. Queste condizioni oggi non ci sono più”. Con queste parole, comunicate in un breve Consiglio dei ministri, sembra volgere al termine il governo a guida Draghi.
In realtà non è ancora detta l’ultima parola. Il pallino è ora nelle mani del Presidente della Repubblica. Nel frattempo, le dimissioni del premier potrebbero non essere irrevocabili. Infatti Sergio Mattarella ha già provveduto a respingerle, parlamenterizzando la crisi. A questo punto, il quadro si chiarirà definitivamente il 20 luglio quando Draghi parlerà alle Camere. Ci sono dunque delle possibilità che la maggioranza si ricrei e l’esecutivo possa andare avanti.