La neutralità ha un prezzo: la Svizzera è ancora disposta a pagarlo? Il presidente della Confederazione elvetica, Alain Berset, ha difeso in un’intervista alla testata ‘Nzz am Sontag’ la storica neutralità della Svizzera ribadendo la sua contrarietà al trasferimento di armamenti all’Ucraina e denunciando una certa “frenesia bellica in certi ambienti”.
“Le armi svizzere non devono essere utilizzate nelle guerre”, ha ribadito il presidente socialista sottolineando che la posizione del Consiglio federale in materia è stata molto chiara. “Capisco e rispetto il fatto che altri Paesi abbiano una posizione diversa - ha aggiunto -. Ma anche la posizione elvetica va rispettata”.
In realtà, il dibattito sulla neutralità agita la Svizzera dall’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio 2022. Il Paese - che come noto non aderisce all’Ue - ha tuttavia adottato tutte le sanzioni prese da Bruxelles contro Mosca, ritenendo che tali sanzioni fossero compatibili con la propria neutralità.
Il suo governo resta, al contempo, inflessibile sulla neutralità storica della Confederazione, nonostante le crescenti pressioni di Kiev e dei suoi alleati per consentire la riesportazione di armi e munizioni svizzere.
Quella di Berna è una posizione chiara che ci ricollega all’inizio di questo post. Il prezzo di un’effettiva neutralità riguarda non solo l’invio fisico di armi, ma anche l’aspetto finanziario legato all’economia di guerra. Ecco, su questo punto, la Svizzera potrebbe fare di più in termini di trasparenza, rompendo ad esempio i legami con i produttori di armi. A quel punto il concetto di neutralità acquisirebbe un significato più tondo.