La coalizione Kick big polluters out (Kbpo, Fuori i grandi inquinatori), che raccoglie 450 organizzazioni non governative a livello mondiale, ha fatto i conti. Sarebbero almeno 1773 i lobbysti dell’oil and gas, tra i principali settori economici indiziati per il surriscaldamento globale, presenti a Cop29, la conferenza dell’Onu sul clima. Si tratta peraltro di un numero stimato per difetto.
Poche delegazioni hanno più personale in Azerbaijan: quella locale (2.229 membri), quella del Brasile (1.914 elementi), dove si svolgerà la Cop30 dell'anno prossimo, e quella turca (1.862). Tutti assieme, accusano le organizzazioni, i lobbysti hanno ricevuto ben 1.033 badge, cifra che supera quella delle dieci nazioni più vulnerabili al cambiamento climatico: Ciad, Isole Solomon, Niger, Micronesia, Guinea-Bissau, Somalia, Tonga, Eritrea, Sudan e Mali.
Davanti a tutti, c’è la International Emission Trading Association, che, secondo il rapporto di Kbpo, avrebbe veicolato 43 persone, inclusi i rappresentanti di alcune aziende del settore petrolifero, come Total, e Glencore, multinazionale anglo-svizzera attiva nel settore minerario.
Per l’Italia ci sarebbero persone riconducibili a Edison, Italgas e ai giganti energetici Enel ed Eni. Al Cane a sei zampe, assieme alle società oil and gas Chevron, ExxonMobil, BP e Shell sarebbero riconducibili 39 accrediti.
Non c’è soltanto l’industria delle fonti fossili tra i corridoi. Tra i 52mila delegati ci sono anche figure legate all’agri-business (fertilizzanti e pesticidi vengono prodotti anche col petrolio), alla finanza, alla lobby dei trasporti, anche se non sono conteggiate nel rapporto. Non poteva mancare Big Tech, con molti dei nomi più grandi tra le multinazionali del digitale.