È una delle zavorre dell’economia mondiale. L'allarme sulla corruzione viene da uno studio dell’Fmi, che calcola in 1.500 miliardi di dollari l'anno il costo di tangenti e mazzette sull'economia globale. "La corruzione - spiega il direttore generale dell'Fmi, Christine Lagarde - ha un alto costo sui bilanci degli Stati, provoca una perdita nelle entrate e una bassa qualità della spesa pubblica". E poi: "Le nostre nuove analisi - ha aggiunto Lagarde - dicono che riduce la crescita e aumenta le diseguaglianze".
La corruzione, dunque, frena il Pil e la percezione di un controllo del fenomeno è correlata positivamente con il reddito procapite, si legge nel rapporto dell'Fmi. Nei paesi dove la lotta alla corruzione e la legislazione anti-tangenti è più avanzata, crescono anche le entrate fiscali, per effetto della maggiore crescita del Pil e del comportamento più corretto di cittadini e imprese.
Le cifre dell'Fmi danno una rappresentazione plastica di questa dinamica: se si confronta il 25% dei paesi più industrializzati in testa alla classifica per maggiore lotta alla corruzione con il 25% degli Stati in coda al ranking, la differenza delle entrate fiscali è pari al 4,5% del Pil. Su base globale significa che gli Stati perdono 1.000 miliardi di dollari di entrate fiscali, circa l'1,2% del Pil mondiale.
E l'Italia? Nello studio dell'Fmi viene citata due volte. C’è un aspetto positivo legato alla Consip, la centrale per gli acquisti di Stato che ha contribuito a ridurre gli sprechi. E uno negativo: insieme a Grecia, Portogallo e Spagna, l’Italia è tra i paesi che hanno un sistema di appalti ritenuto ancora insoddisfacente.