Cinque milioni per una strage. Il più grave attentato terroristico nella storia della democrazia italiana sarebbe stato eseguito per soldi. Da terroristi di destra pagati da Licio Gelli e protetti dai vertici piduisti dei servizi segreti, sempre in cambio di denaro.
Milioni di dollari rubati al Banco Ambrosiano e distribuiti attraverso cassieri-mediatori rimasti finora sconosciuti, perché i loro nomi furono cancellati dagli atti dei processi. Tra morti sospette, valigie di banconote che passano le frontiere, senatori, faccendieri e spioni che orchestrano false «piste internazionali di sinistra». Mentre i killer neofascisti nascondono i soldi in Svizzera.
Sono le nuove accuse formulate dai magistrati di Bologna con le ultime indagini sulla bomba nera che il 2 agosto 1980 ha devastato la stazione dei treni. La Procura generale, la Guardia di finanza e gli avvocati dei familiari delle 85 vittime hanno ricostruito un catena indiziaria che, per la prima volta, parte dai presunti mandanti e finanziatori, passa attraverso ricchi mediatori e arriva fino agli esecutori.
La nuova indagine è ancora in attesa delle conferme dei processi, ma parte da basi solide: le sentenze definitive.