Nell’arco di poche ore la natura del conflitto è cambiata. Gli scontri tra i manifestanti palestinesi e le forze dell’ordine a Gerusalemme si sono trasformati in una guerra nella Striscia di Gaza, e il bilancio si è rapidamente aggravato, con decine di morti. Il numero delle vittime cresce ora dopo ora.
Alcuni media israeliani fanno risalire lo scoppio della crisi al primo giorno di Ramadan, quando le autorità israeliane hanno cambiato il dispositivo di sicurezza alla porta di Damasco. Di fronte c’è il quartiere storico di Sheikh Jarrah, in fibrillazione a causa delle espulsioni dei residenti palestinesi (che si sono rifiutati di rispettare le nuove regole sulla sicurezza).
Poi un video pubblicato su TikTok ha mostrato un giovane palestinese che schiaffeggiava un giovane ebreo ultraortodosso a Gerusalemme. A quel punto la violenza si è messa in moto.
C’è anche un fattore politico. Sul fronte israeliano c’è un vuoto di potere nonostante tre elezioni nell’arco di poco tempo. Benjamin Netanyahu appare sempre più sulla via del tramonto.
Sul versante palestinese c’è un altro vuoto. Da quindici anni i palestinesi sono divisi tra la Striscia di Gaza, controllata dagli islamisti di Hamas, e l’Autorità palestinese in Cisgiordania, guidata da un Abu Mazen, il cui mandato è terminato da tempo.
E in questa impasse si cristallizza un’occupazione senza fine.